Lo scarso dialogo tra scuola e imprese penalizza i giovani
Penalizzati dalle carenze nell’orientamento scolastico, dalla mancanza di dialogo tra la formazione e il lavoro. Accettano spesso lavori mal pagati, o al di sotto delle proprie competenze. Anche se la laurea rappresenta una “marcia in più” per poter aspirare a professioni più qualificate. Insieme alla disponibilità a spostarsi all’estero che produce vantaggi retributivi soprattutto per le professionalità più elevate.
L’indagine svolta dalle Acli tra 2.500 ragazzi d’età compresa tra 18 e 29 anni (tra loro gli occupati sono il 69%) che sarà presentata oggi, all’avvio della tre giorni di studio che si apre a Napoli, fornisce uno spaccato della realtà giovanile. L’influenza del titolo di studio è positiva per i laureati che vivono in Italia e all’estero, con alcune differenze: il 62,9% di quelli che lavorano all’estero è inserito in posizioni lavorative più qualificate contro il 33,3% di chi lavora in Italia e vive solo, il 27,1% tra i laureati che vivono in famiglia (rispetto al 20,9% che si registra tra il totale degli intervistati). Tra le professioni tecniche troviamo una quota importante di laureati: il 28,6% tra quelli che vivono da soli e il 23,4% che vivono in famiglia, un dato che evidenzia il «problema di eccesso di competenze tra i giovani italiani».
La mobilità è un fattore determinante per la soddisfazione nel lavoro: il 77,2% dei lavoratori intervistati altamente qualificati occupati in Italia dichiara di guadagnare toppo poco, contro il 43,1% di quelli che lavorano all’estero (tra le professioni tecniche lo scarto è di 10 punti). In Italia per molti giovani il lavoro non offre prospettive di carriera (44,9%), la percentuale più alta si registra tra i non laureati che vivono soli (57,7%).
Altro nodo, la formazione. Il 43,8% dei giovani intervistati ha fatto un percorso di studi che si è rivelato poco o per nulla utile nello svolgimento del lavoro attuale, la percentuale scende al 39,9% tra i giovani all’estero. Il 42,4% degli intervistati è pentito delle scelte formative del passato, la percentuale sale al 56,7% tra i ragazzi che svolgono un lavoro per il quale ritengono sia inutile il titolo di studio che hanno. Sul versante delle tutele, solo 1 giovane su 10 ritiene le organizzazioni sindacali possono fare qualcosa per difendere il lavoro (11,1%), tra i giovani che vivono in Italia il 13%. Prevale la disillussione, per quasi il 40% degli intervistati l’attuale funzionamento del mercato del lavoro rende inutile qualsiasi azione di tutela del lavoro(la percentuale è più bassa tra chi possiede un titolo di studi superiore). In questo contesto cresce la propensione al lavoro “in deroga” rispetto agli standard normativi, soprattutto tra gli italiani non laureati che vivono per conto proprio (37,7%) o in famiglia (30,7%). Le Acli propongono di investire nella formazione professionale, di diffondere l’infrastruttura formativa di qualità rivedendo i criteri di accreditamento, di innovare qualifiche e diplomi, sviluppando gli Its.