Matrimonio tra studi: passaggi-chiave ed errori da evitare
Desiderio di aumentare la massa critica, di espandere l’attività verso nuovi territori promettenti, di sopperire al trauma di un passaggio generazionale, o di aggregarsi per diversificare e ampliare l’offerta di servizi. Sono le quattro ragioni principali che spingono i professionisti verso la combinazione con altri studi, nelle diverse forme possibili di alleanza professionale che vanno dalla mera collaborazione preferenziale all’alleanza strategica, al networking, fino alla fusione vera e propria nella forma associativa o societaria più adatta.
Di questo spettro, tuttavia, solo la fusione rappresenta la svolta capace di imprimere una direzione nuova all’attività dei due studi. Tutte le altre forme più lasche di collaborazione finiscono, nella maggioranza dei casi, per restare iniziative estemporanee e sterili.
I fattori oggettivi che possono interferire o condizionare l’esito di queste aggregazioni sono numerosi e vanno dalla dimensione, più o meno omogenea, delle due parti, alle affinità in termini di cultura professionale fino all’adesione al modello gestionale e di governance.
Ma anche le fusioni non sempre vanno a buon fine. Gli elementi soggettivi che possono favorire o ostacolare la riuscita dell’operazione e la “chimica” che può (o meno), stabilirsi tra le due parti, spesso hanno a che fare con carisma e leadership dei rispettivi rappresentanti e con la loro abilità di mediazione e flessibilità nella fase negoziale. Ulteriori variabili, piuttosto indeterminate, ma talvolta decisive includono la tempistica, le motivazioni strategiche, la lungimiranza e il coraggio.
Lo scenario ideale per la fusione di due studi legali, ad esempio, è determinato da fattori di mercato e si concretizza nell’interpretazione che, di questi fattori, danno le due parti in campo. L’esempio tipico è rappresentato dalla situazione di difficoltà nell’affrontare il passaggio generazionale in uno studio fortemente condizionato dalla personalità del fondatore, che abbia frustrato la crescita di altri leader alla sua ombra. Per prepararsi a quel momento va cercato un leader che consenta allo studio di continuare a crescere. A volte questa personalità si trova in un altro studio per il quale una fusione può rappresentare un salto di qualità in termini di brand.
I passaggi chiave
Nel processo di integrazione devono essere affrontate, una a una, tutte le questioni decisive:
i costi dell’operazione, legati prevalentemente alla necessità di dotarsi di una unica sede, ma anche all’integrazione di software, personale, attrezzature, promozione e via dicendo;
la strategia di cross-selling e di reselling, ovvero le azioni da compiere per integrare rispettivamente la vecchia clientela e la nuova compagine e la possibilità, aumentando competenze e massa critica, di fornire nuovi servizi ai vecchi rispettivi clienti;
la filosofia organizzativa del lavoro, la griglia dei compensi e dei salari di collaboratori e dipendenti, la catena di comando e i principi di governance andranno compresi e condivisi e soprattutto verificati in un programma di medio periodo;
da ultimo, ma non per importanza, andranno condivise le basi di una nuova “cultura professionale”. Questa è rappresentata dall’insieme di regole e dalla scala di priorità che ogni studio imprime come standard al proprio lavoro. Accettare un livello di strutturazione delle procedure interne, o l’assunzione di responsabilità nelle diverse fasi di lavorazione delle pratiche, la disponibilità alla condivisione e al lavoro di squadra, queste ed altre sono le piccole/grandi differenze che possono rendere incompatibili alcune integrazioni.
La sola somma algebrica di due fatturati non giustifica di per sé la fatica e i costi di una aggregazione.
Le ragioni devono dunque avere una base nella strategia di crescita dello studio che porta a preferire di combinarsi con un concorrente anziché di strutturarsi altrimenti per competere (anche) con lui.
Niente come la pigrizia nell’abbandonare le proprie abitudini può far fallire i progetti di aggregazione. Lo sforzo maggiore è quello di autocritica e di analisi delle proprie inefficenze che porta alla selezione delle buone pratiche come portato delle diverse esperienze.