Previdenza

Pensioni, su Opzione donna arriva lo stop alla «variabile figli»

Dovrebbero essere confermati gli altri nuovi requisiti che limitano sensibilmente la platea delle potenziali fruitrici

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di Marco Rogari

È in arrivo lo stop alla cosiddetta «variabile figli» introdotta con la stretta su Opzione donna. Il governo sta lavorando a un emendamento per correggere il restyling del meccanismo per il pensionamento anticipato delle lavoratrici, con il ricalcolo contributivo dell’assegno, previsto dal testo della manovra all’esame della Camera. L’ipotesi più gettonata è di lasciare invariate le nuove limitazioni mantenendo a 60 anni la soglia anagrafica, da affiancare al requisito dei 35 anni di versamenti, per sole tre categorie: caregiver; con invalidità civile almeno al 74%; «licenziate» o dipendenti di aziende in crisi. Verrebbero eliminati gli sconti di un anno in presenza di un figlio (con uscita 59 anni) e di due anni con due o più figli (uscita a 58 anni). Starebbe invece perdendo quota l’altra possibile soluzione: il ricorso a una proroga secca di 6-8 mesi dell’attuale schema (accesso alla pensione con 58 anni, 59 per le lavoratrici autonome, e 35 di contributi), in attesa della nuova riforma organica della previdenza.

La decisione definitiva sarà presa prima della fine della settimana. Ieri il ministro del Lavoro, Marina Calderone, si è limitata ad affermare che «la manovra va in Parlamento, che è sovrano e può fare delle modifiche. Certamente - ha aggiunto - in questo momento fa delle riflessioni anche il governo». I partiti sono già in pressing per i ritocchi, a partire dal Pd che ha già annunciato che presenterà suoi emendamenti per chiedere la proroga secca di Opzione donna.

Nessuna modifica, invece, è attesa per Quota 103. L’Ufficio parlamentare di bilancio nell’audizione sulla manovra ha tratteggiato due scenari sulla possibile adesione a questo nuovo strumento. Nel caso in cui a utilizzare questo “canale” fossero tutti i lavoratori in possesso dei requisiti richiesti (62 anni d’età e 41 di contribuzione) le uscite anticipate sarebbero oltre 56.400 nel 2023, altre 40.800 nel 2024 e poco meno di 6.400 nel 2025. E andrebbero ben al di là delle 41.100 stimate. Di conseguenza salirebbero leggermente anche i costi, che lieviterebbero a 600 milioni il prossimo anno, contro i 451 stimati dal governo al lordo degli effetti fiscali, e a circa 1,9 miliardi nel biennio successivo (quasi 1,7 miliardi quelli previsti).

A utilizzare il nuovo strumento pensionistico introdotto dall’esecutivo Meloni sarebbero in prevalenza gli uomini: non meno del’85%. Oltre il 13% della platea, secondo l’Upb, sarebbe formata da dipendenti pubblici. Mentre nel settore privato, circa il 65% dei richiedenti sarebbe costituito da lavoratori dipendenti, poco meno del 24% da “autonomi” e il resto da parasubordinati, iscritti alle gestioni separate e lavoratori dello spettacolo (ex Enpals). Nel 2023 e nel 2024, gli anni con il flusso maggiore di nuove uscite anticipate, gli importi degli assegni ammonterebbero, rispettivamente, a circa 27.400 e 28.800 euro lordi all'anno per gli uomini e a 22.400 e 24.100 per le donne.

Con il secondo scenario modellato dall’Upb su un andamento dei pensionamenti anticipati con Quota 103 simile a quello (al di sotto delle aspettative) registrato per Quota 100 (accesso alla pensione con 62 anni d’età e 38 di contributi introdotta dal governo Conte 1 per il triennio 2019-2029), le uscite scenderebbero a un livello notevolmente più basso di quello stimato dal governo: le pensioni aggiuntive sarebbe poco più di 29.700 nel 2023, oltre 26mila nel 2024 e 2.900 nel 2025. E l’impatto sui conti pubblici sarebbe di 300 milioni il prossimo anno, di oltre 800 milioni nel 2024 e di 400 milioni nel 2025. Gli effetti di questi due scenari hanno indotto l’Upb a definire «prudenti» le stime sui costi contenute nella relazione tecnica della manovra.

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