Rapporti di lavoro

Salario minimo equilibrato utile per la giustizia sociale

Per il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, «troppi, non solo tra i giovani, non hanno una occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate

Nodo salariale.

di Claudio Tucci

Crescita e riforme per dare lavoro (stabile) a donne e giovani e per aumentare produttività e retribuzioni. E anche sì al salario minimo perché, ha spiegato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, «troppi, non solo tra i giovani, non hanno una occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate».

E quindi, ha proseguito Visco, «come negli altri principali paesi, l’introduzione di un salario minimo, definito con il necessario equilibrio, può rispondere a non trascurabili esigenze di giustizia sociale».

Nel 2022, come ricordato nelle oltre 200 pagine della relazione annuale, illustrata ieri a palazzo Koch, sono «nettamente cresciuti sia il numero di persone occupate (1,7 per cento, secondo dati di contabilità nazionale), sia le ore lavorate in media pro capite (2,2), recuperando i livelli precedenti la pandemia». L’incremento dell’occupazione si è concentrato fra i lavoratori dipendenti ed è stato diffuso tra i settori; e, a differenza del 2021, la spinta è arrivata quasi interamente dalla crescita dei contratti a tempo indeterminato (e dalla trasformazione dei rapporti a termine).

Ci sono però nodi sul tavolo. Uno è il tema salariale, con la necessità di recuperare il potere d’acquisto (eroso dall’inflazione). Per Bankitalia la strada non è la rincorsa salari-prezzi: «Va evitato un approccio puramente retrospettivo - è scritto nella relazione - perché una dinamica retributiva che replicasse quella dell’inflazione passata non potrebbe che tradursi in una vana rincorsa tra prezzi e salari» (la contrattazione ha saputo rispondere al meglio all’infiammata inflazionistica). Quello che occorre invece per un recupero del potere d’acquisto «è una crescita più sostenuta della produttività». Lo scorso anno la produttività oraria del lavoro del settore privato non agricolo è lievemente diminuita (-0,7 per cento); risulta tuttavia superiore del 3,0 per cento rispetto al livello precedente la crisi sanitaria, un incremento superiore a quello di Germania e Spagna (2,5 e 1,1 per cento, rispettivamente). C’è quindi un clima favorevole. Ma non basta, serve fare di più.

Negli ultimi 25 anni il prodotto per ora lavorata è cresciuto di appena lo 0,3 per cento l’anno, meno di un terzo della media degli altri paesi dell’area Euro. Ciò impatta anche sulle retribuzioni. Nonostante, è scritto ancora nella relazione di Bankitalia, la diseguaglianza nelle retribuzioni orarie sia rimasta contenuta tra gli occupati dipendenti del settore privato, la quota di lavoratori con retribuzioni annue particolarmente basse (convenzionalmente inferiori al 60 per cento del valore mediano della distribuzione, pari oggi a 11.600 euro annui) è ancora salita, fino al 30 per cento, dal 25 per cento degli ultimi anni del secolo scorso. E ancora: con la maggior diffusione del lavoro temporaneo e di quello a tempo parziale è sensibilmente aumentato il numero di quanti oggi hanno un impiego solo per una parte dell’anno.

Precario o stabile, il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è cresciuto in tutte le classi di età; quello delle donne ha raggiunto i livelli più elevati dall’inizio delle serie storiche (ma è distante da quello degli uomini e nel confronto internazionale - si veda altro pezzo in pagina). Ciò nonostante, l’invecchiamento della popolazione ha causato una contrazione delle forze di lavoro, superiore alle 500mila unità nell’ultimo triennio; i flussi migratori netti degli stranieri, seppure in lieve ripresa, non sono stati sufficienti a compensare tale decremento.

La dinamica positiva dell’occupazione e le tendenze demografiche hanno determinato una diminuzione del tasso di disoccupazione. Nel 2022 il tasso dei senza lavoro si è ridotto in misura marcata, all’8,1 per cento, il valore più basso dell’ultimo decennio (-1,8 e -4,8 punti percentuali rispetto al 2019 e al picco del 2014, rispettivamente); la diminuzione rispetto al periodo precedente all’emergenza sanitaria è riconducibile al recupero dei livelli occupazionali e alla contrazione delle forze di lavoro.

Il calo è stato particolarmente intenso fra i più giovani: nella fascia tra 15 e 34 anni il tasso di disoccupazione è sceso al 14,4 per cento, dal 18,2 nel 2019.

I margini per un ulteriore aumento della partecipazione al mercato del lavoro rimangono ampi. Il numero di persone che non cercano attivamente un’occupazione ma sono disponibili a lavorare è elevato: secondo Eurostat, nel 2022 era pari al 5,6 per cento della popolazione di età compresa tra 15 e 74 anni, più del doppio del dato per l’area Euro (2,2 per cento).

E a ciò si aggiunga che quasi sei occupati a tempo parziale su dieci preferirebbero avere un impiego a tempo pieno.

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