Welfare

Sul welfare aziendale il peso di scelte incoerenti

Ha sempre più connotazione retributiva, ma le modifiche normative ne complicano l’applicazione

di Diego Paciello

Negli ultimi anni la rilevanza, non solo in termini economici, dei piani di welfare all'interno dei sistemi di compensation delle aziende è considerevolmente aumentata.

In un mercato del lavoro molto in fermento, in cui è difficile trovare le giuste competenze e, contemporaneamente, si assiste a un incremento vertiginoso delle dimissioni dei lavoratori con maggiore impiegabilità è difficile trovare una leva di attraction e retention paragonabile, in termini di efficacia ed efficienza, al welfare aziendale.

La non imponibilità fiscale, cui consegue la non assoggettabilità contributiva, secondo quanto previsto dal parallelismo delle due basi imponibili (fiscale e contributiva, appunto), sia per il lavoratore sia per il datore di lavoro, rappresenta, di fatto, una delle poche leve, se non l'unica, in grado di garantire un incremento del potere d'acquisto netto per i dipendenti.

I cosiddetti piani di “flexible benefit” – in cui il datore di lavoro mette a disposizione di ogni lavoratore un importo tramite il quale comporre liberamente un pacchetto di beni e servizi secondo le proprie esigenze personali e familiari - hanno assunto, nel tempo, una connotazione sempre meno sociale e sempre più retributiva, anche perché, spesso, alimentati dalla conversione dei premi di risultato di cui alla legge 208 del 2015.

Questo tipo di connotazione è stata tuttavia sempre più stigmatizzata dall'agenzia delle Entrate, causando non pochi problemi applicativi per le aziende. A complicare le cose per le aziende, oltre allo scollamento tra come le stesse vorrebbero poter utilizzare i piani di welfare aziendale e l'interpretazione dell'Amministrazione finanziaria, si è aggiunta anche la confusione portata dagli ultimi interventi legislativi, spesso non coerenti tra di loro né con quanto fatto e promosso dal legislatore negli ultimi anni.

L'approvazione, da parte della Camera di un emendamento che prevede l'imponibilità ai fini contributivi dei buoni benzina (articolo 1 del Dl 5/2023) è solo l'ultimo esempio in ordine cronologico, dopo la mancata proroga dell'innalzamento a 3mila euro della soglia annua dei cosiddetti “fringe benefits”, prevista per il 2022 (e tornata, quindi, a 258,23 euro per l'anno fiscale in corso) e il dimezzamento per il 2023 dell'imposta sostitutiva sui premi di risultato (legge 208 del 2015).

La mancanza di sistematicità, di prevedibilità e di coerenza tra gli interventi legislativi impedisce alle aziende la programmazione, non solo finanziaria, dell'utilizzo delle misure di welfare e, di conseguenza, ne riduce l'efficacia. Vista la rilevanza raggiunta dal welfare aziendale per la gestione del capitale umano, il legislatore dovrebbe operare una sistematizzazione delle norme e delle interpretazioni sottese al welfare stesso e tracciare chiaramente la direzione da intraprendere nell'immediato futuro.

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