Contenzioso

L’inottemperanza all’ordine di reintegrazione non costituisce reato

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di Alberto De Luca, Stefania Raviele

Con la sentenza 2 aprile 2015, n. 6777, la Sezione Lavoro della Corte di cassazione ha confermato che l'inottemperanza all'ordine di reintegrazione (se emesso nell'ambito di un procedimento cautelare) non integra la fattispecie di reato di cui all'articolo 388, comma 2, cod. pen., ciò escludendo altresì la risarcibilità del conseguente danno morale ex art. 2059 cod. civ. Tale principio è stato, in particolare, riaffermato nella fattispecie che di seguito si ripercorre nel dettaglio. Il lavoratore ricorrente in primo grado aveva chiesto ed ottenuto, nel merito, la riqualificazione del rapporto intercorso con un editore in lavoro subordinato come redattore di prima nomina (con connesso pagamento delle differenze retributive); in via cautelare, la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori secondo la formulazione al tempo vigente. In conseguenza del mancato adempimento da parte dell'editore dell'ordine di reintegro, il lavoratore aveva poi richiesto e ottenuto il risarcimento del danno alla professionalità lamentato, ma non anche il risarcimento del danno morale, non ritenendo il Giudice di prime cure applicabile al caso la fattispecie di reato di cui al menzionato articolo 388 cod. pen. La Corte di appello di Bologna, in parziale riforma, pur confermando la natura subordinata del rapporto intercorso, aveva ridotto l'ammontare delle differenze retributive, rideterminandole in via equitativa, confermando però pienamente le statuizioni sull'illegittimità del licenziamento e sul risarcimento del danno alla professionalità per mancata esecuzione dell'ordine di reintegrazione, ancora una volta escludendo la risarcibilità del danno morale non ritenendo a sua volta sussistente la fattispecie di reato. Avverso la decisione della Corte territoriale, il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione basato sui tre motivi che seguono: con il primo motivo, la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale relativamente agli articoli 2 e 36 del Ccnl Giornalistico, nonché vizio di motivazione per erronea determinazione della retribuzione spettante. La Suprema corte ha poi respinto il motivo come infondato, non ritenendo sussistenti le violazioni denunciate e, in ogni caso, non ritenendo sindacabile in sede di legittimità la determinazione in via equitativa del compenso operata dalla Corte d'appello, essendo immune da vizi logico giuridici. Con il secondo motivo di ricorso, il lavoratore ha poi denunciato la violazione di legge in merito alle tutele risarcitorie richieste in relazione alla mancata ottemperanza all'ordine di reintegro, con specifico riferimento alla mancata liquidazione del danno morale che sarebbe dovuta conseguire ove i Giudici di merito avessero ricondotto l'inottemperanza alla fattispecie di reato invocata. Il motivo è stato anch'esso rigettato. La Corte di cassazione ha infatti confermato il proprio orientamento secondo cui la mancata ottemperanza all'ordine di reintegra impartito ex art. 700 cod. proc. civ. non integra il reato previsto dall'articolo 388, comma 2, cod. pen. in quanto, sulla base del tenore letterale di tale ultima disposizione, è esclusa la configurabilità del reato in relazione alle situazioni in cui il provvedimento cautelare non sia stato emesso a tutela di un diritto di credito in senso stretto. Quanto precede soprattutto in considerazione del fatto che il danno subito dal lavoratore per il ritardo nell'esecuzione dell'ordine di reintegra nel regime di tutela reale ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nella formulazione ratione temporis applicabile, sarebbe stato automaticamente risarcito, spettando ad esso la retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione effettiva e ferma la possibilità di allegazione di un danno patrimoniale ulteriore. Con l'ultimo motivo di ricorso il lavoratore ha denunciato, infine, la violazione dell'articolo 92 cod. proc. civ. per non aver, la Corte di gravame, disposto la condanna al pagamento delle spese processuali in maniera proporzionale alla soccombenza reciproca. La Corte di cassazione ha rigettato anche quest'ultimo motivo, rientrando anche tale facoltà nella discrezionalità del giudice di merito e dunque insindacabile in sede di legittimità.

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