Contenzioso

Negli appalti decadenza differenziata per lavoratori e Inps

di Giulia Bifano e Massimiliano Biolchini


Le norme in materia di appalto stabiliscono il diritto dei lavoratori a pretendere i trattamenti retributivi, inclusivi di quote di Tfr, contributi previdenziali e premi assicurativi, sia dal proprio datore di lavoro che dal committente, a condizione che tali pretese riguardino il periodo di esecuzione dell'appalto e siano avanzate entro i due anni successivi alla sua cessazione: trascorso tale lasso di tempo, infatti, il committente è libero dal regime di solidarietà che lo obbliga nei confronti dei dipendenti dell'appaltatore e il dipendente potrà fare valere i propri crediti nei soli confronti del proprio datore di lavoro.
Nell'occuparsi dell'interpretazione di tale disposizione, volta anzitutto a indurre il committente a selezionare imprenditori affidabili e verificare l'adempimento degli obblighi su di essi gravanti, la Corte di cassazione ha nel corso del tempo avuto modo di conferire maggiore certezza ai confini di un simile regime, altrimenti potenziale veicolo non dei meccanismi virtuosi perseguiti dal legislatore, ma piuttosto di incertezze tali da pregiudicare, disincentivandola, la posizione del committente.
A essere oggetto di un chiarimento è stata anzitutto la definizione del termine biennale entro cui avanzare le pretese retributive, che decorre dalla fine del rapporto contrattuale in forza del quale i dipendenti sono impiegati: nel caso del subappalto, dunque, sarà il momento della cessazione dei lavori del subappaltatore quello dal quale decorrerà tale termine.
Inoltre la Cassazione ha costantemente ribadito, da ultimo con la decisione 27678/2018, come il committente non possa essere obbligato al pagamento di somme diverse da quelle strettamente retributive: anche nel termine di due anni dalla cessazione dell'appalto o del subappalto, dunque, rimane l'appaltatore-datore di lavoro il solo soggetto obbligato al pagamento di somme diverse, quali ad esempio quelle dovute a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo.
Sciolto il nodo circa il rapporto tra appalto e subappalto e chiarito il confine dell'esposizione economica del committente, la Suprema corte è stata poi chiamata ad approfondire ulteriormente il tema della durata biennale del regime di solidarietà. Anzitutto, i giudici di legittimità si sono occupati di chiarire, come recentemente rammentato dalla sentenza del tribunale di Milano 38/2019, come la decorrenza del termine biennale offerto al lavoratore per avanzare le proprie pretese nei confronti del committente possa essere interrotta soltanto dalla proposizione di una domanda giudiziale: nessun atto extra-giudiziale, inclusa la messa in mora, vale a salvare il dipendente dalla decadenza dal proprio diritto di avvalersi del regime di solidarietà.
Ma non è tutto, con la sentenza 22110/2019 depositata il 4 settembre, la Cassazione è tornata sul tema dell'applicabilità di tale regime di decadenze nei confronti degli enti previdenziali, facendo il punto su tale questione. Nel ribaltare la decisione della Corte d'appello di Torino, i giudici di legittimità hanno chiarito che, differentemente da quanto previsto per i lavoratori, l'azione dell'Inps è soggetta alla sola prescrizione ordinaria. In sostanza, l'ente potrà riscuotere i contributi non versati dal committente, in quanto obbligato in solido con l'appaltatore, anche una volta trascorsi due anni dalla fine dell'appalto irregolare. Ciò, prosegue la Corte, perché l'obbligazione contributiva, che deriva dalla legge e fa capo all'Inps, ha natura autonoma da quella retributiva. All'ente previdenziale, in quanto soggetto terzo titolare di un diritto irrinunciabile da parte del lavoratore, può quindi applicarsi il solo termine di prescrizione previsto in via ordinaria per la riscossione dei contributi non versati: cinque anni in via ordinaria e dieci anni in caso di denuncia da parte del lavoratore formulata nei termini a tal fine stabiliti.

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