Contenzioso

Ritorno al passato sul periodo di comporto

immagine non disponibile

di Giuseppe Bulgarini d'Elci


La materia è delicata e va indubbiamente approcciata con circospezione. Da una parte ci sono le esigenze di tutela e garanzia del lavoratore colpito da uno stato di malattia che impedisce l'attività lavorativa, d'altra parte si pone l'interesse dell'impresa di poter, ad esempio, utilmente reagire in presenza di un ricorso strumentale alle assenze per malattia da parte del lavoratore.

L'articolo 2110 del codice civile, che prevede a beneficio del lavoratore in costanza di malattia il diritto alla retribuzione e alla conservazione del posto di lavoro per una durata massima da definirsi, tra l'altro, dai contratti collettivi, ha sempre costituito un baluardo pressoché invalicabile dietro al quale il dipendente poteva “nascondersi” quando emergevano un contrasto, un dissidio o una fase di tensione con il datore di lavoro.

Facendo ricorso, con l'ausilio di un buon certificato medico, a una sospensione della prestazione lavorativa per ragioni di salute, magari iniziate con un mal di testa e sfociate, quindi, in una sindrome ansioso-depressiva, il lavoratore evitava, ad esempio, l'assegnazione a nuove mansioni, ritardava l'inizio di un trasferimento o impediva, nei casi più estremi, l'intimazione di un licenziamento in presenza di riorganizzazione aziendale.

In tutte queste situazioni, al datore di lavoro non restava che attendere inerte, magari con qualche grosso mal di pancia, ma senza poter approntare una qualsivoglia reazione, il decorso del periodo di comporto e arrivare, infine, al licenziamento per scadenza del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro in costanza di malattia.

Con la sentenza 18678 del 4 settembre 2014 la Corte di cassazione sembrava aver aperto un piccolo varco, avvalorando la tesi che fosse legittima l'irrogazione di un licenziamento per scarso rendimento almeno in quei casi più macroscopici nei quali emergeva un utilizzo reiterato e non corretto delle assenze per malattia a “macchia di leopardo”, così da ingenerare un pregiudizio serio sul piano oggettivo per l'organizzazione aziendale.

Con la più recente pronuncia 16472 del 5 agosto 2015 la Cassazione smonta completamente questa prospettiva e riafferma la centralità della disciplina disegnata dall'articolo 2110 del codice civile, di modo che un licenziamento ricollegato alle assenze per malattia del lavoratore è possibile solo in presenza del superamento del periodo di comporto.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©