Contenzioso

Le dichiarazioni liberatorie non sempre sono transazioni

di Valeria Zeppilli

Non tutte le dichiarazioni del lavoratore, anche se hanno a oggetto, in senso lato, delle rinunce, possono essere ricondotte al concetto di rinuncia e transazione rilevante ai sensi dell'articolo 2113 del codice civile. A tal fine è infatti necessario che sussistano specifiche condizioni, sulle quali si è soffermata la Corte di cassazione (sezione lavoro, 18 settembre 2019, ordinanza 23296).

Nel caso di specie, oggetto di contestazione era una quietanza a saldo con la quale un lavoratore ha dichiarato di rinunciare a maggiori somme riferendosi, genericamente, a una serie di pretese astrattamente ipotizzabili in relazione alla prestazione lavorativa e alla conclusione del rapporto di lavoro. Per i giudici, una quietanza di tal genere può assumere valore di rinuncia o transazione da impugnare necessariamente entro il termine massimo di sei mesi, così come previsto dal codice civile, solo se, interpretando il documento stesso o tenendo conto di altre circostanze desumibili altrove, emerga che il lavoratore, nel rilasciarla, fosse consapevole della titolarità di diritti determinati o determinabili oggettivamente e cosciente che, con la quietanza, vi stava rinunciando o stava transigendo sugli stessi.

Già in altre occasioni (sentenze 2146/2011, 18094/2015 e 9120/2015), del resto, la Corte di cassazione ha precisato che le dichiarazioni liberatorie possono essere considerate una forma di rinuncia o transazione in senso stretto solo se risulta che chi le ha rese lo ha fatto «con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti».

Esse, infatti, sono delle enunciazioni che possono essere in un certo senso assimilate alle clausole di stile e che, pertanto, di per sé non sono in grado di dimostrare la volontà dispositiva di chi le rende.

Dal punto di vista strettamente processuale, l'analisi delle intenzioni del lavoratore che sottoscrive una quietanza a saldo è l'oggetto di un accertamento di fatto che, in quanto tale, è riservato al giudice del merito. L'apprezzamento che questi abbia fatto con riferimento alla natura di rinuncia o transazione di una dichiarazione liberatoria, pertanto, può essere censurato dinanzi alla Corte di cassazione solo ed esclusivamente se si lamenti la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale o vizi di motivazione.

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