È valida la cartella Inps basata sull’accertamento dell’agenzia delle Entrate
La fattispecie trattata dalla Corte di Cassazione con la sentenza 18 settembre 2019, numero 23301, concerne il ricorso di un imprenditore che aveva ricevuto una cartella Inps basata sull'accertamento dei maggiori redditi percepiti.
In giudizio, la Corte d'appello ha accolto il gravame dell'Inps avverso la sentenza di primo grado e ha rigettato l'opposizione a ruolo svolta dal contribuente per contributi, pretesi dall'ente previdenziale, in riferimento all'accertamento fiscale per maggiori redditi da partecipazione in qualità di socio di una s.n.c., motivando che la definizione della lite fiscale con l'agenzia delle Entrate, in base all’articolo 39, comma 12, del Dl 98/2011, continuava ad avere valenza probatoria e di presupposto del credito contributivo vantato dall'Inps anche dopo la definizione processuale dei rapporti tra contribuente e fisco.
Nel conseguente ricorso per Cassazione, il contribuente assume che la peculiare definizione della lite fiscale, con il pagamento di una somma forfettaria, ma senza alcun riconoscimento nel merito, non rende in alcun modo definitivo l'accertamento fiscale. Ragione per cui, con la chiusura della lite, l'Inps non può pretendere alcunché basando la richiesta sull'accertamento dell'agenzia delle Entrate e che la richiesta di contributi per l'intero importo dovrebbe riconsiderare l'obbligo contributivo sulla base dell'accordo intervenuto tra contribuente e fisco.
Nel decidere la vertenza, la sezione lavoro respinge il ricorso dell'imprenditore, confermando la validità della cartella Inps basata sull'accertamento fiscale dei maggiori redditi, anche nell'eventualità che sia intervenuta una definizione concordata tra agenzia delle Entrate e contribuente (con il pagamento, da parte dello stesso, di un importo agevolato dell'imposta contestata).
Nel merito, il giudice di legittimità ha osservato che l'istituto della definizione agevolata delle liti fiscali ha esclusivamente natura deflattiva del contenzioso tributario, con lo scopo di liberare e concentrare le risorse dell'agenzia delle Entrate sulla proficua e spedita gestione dei procedimenti di natura precontenziosa, attraverso il pagamento di un importo percentualmente ridotto del tributo oggetto della lite. Tale tesi risulta confermata dalla previsione di una specifica disciplina di deflazione del contenzioso previdenziale contenuta in una separata disposizione, ossia l'articolo 38, comma 1, del Dl 98/2011.
In altri termini, secondo la Corte, la ripartita collocazione delle disposizioni evidenzia la volontà legislativa di tenere su piani distinti le misure deflative, del contenzioso fiscale e previdenziale. Inoltre, l'assenza di un elemento di collegamento tra le due disposizioni non consente di estendere gli effetti della definizione concordata della lite fiscale sulla rideterminazione totale o parziale dell'accertamento dell'agenzia delle Entrate a fini extrafiscali, quali i contributi previdenziali calcolati a percentuale sul reddito.
Allo stesso modo va esclusa una diversa soluzione interpretativa, in via analogica, considerato che laddove gli effetti della definizione degli accertamenti fiscali si estendono anche ai contributi previdenziali, ciò previsto dal legislatore in modo esplicito.
Ne consegue che la definizione concordata non incide in alcun modo sul contenuto dell'atto di accertamento e non importa definitività dell'accertamento compiuto dall'agenzia delle Entrate, la cui efficacia, ai fini extrafiscali del calcolo dei contributi Inps a percentuale sul maggiore reddito, rimane impregiudicata.
Ciò nondimeno, l'accertamento conserva valore probatorio che può essere resistito da prove di segno contrario senza che ciò incida sul riparto dell'onere probatorio. Come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione 13463/2017 e 19640/2018), tale accertamento costituisce, anche in riferimento all'obbligazione contributiva, un atto amministrativo di ricognizione del loro avveramento, posto che l'accertamento interviene dopo che il contribuente ha adempiuto alla propria obbligazione nella misura che egli ritiene dovuta e gli uffici competenti intervengono con un procedimento amministrativo di secondo grado per verificare la correttezza dell'importo pagato.
Peraltro, l'agenzia delle Entrate svolge un'attività di controllo, effettuando accertamenti formali e sostanziali sui dati delle dichiarazioni dei redditi, richiedendo il pagamento dei contributi e premi omessi e/o evasi da trasmettere successivamente all'Inps (Cassazione 17769/2015). In caso di mancato pagamento, l'Inps procede, sulla base dei dati forniti dalle Entrate, alla iscrizione a ruolo dei contributi totalmente o parzialmente insoluti, in base al Dlgs 462/1997 (Unificazione ai fini fiscali e contributivi delle procedure di liquidazione, riscossione e accertamento).
Si tratta, dunque, di un sistema di accertamento, liquidazione e riscossione comune ai due rapporti, previdenziale e tributario, in cui gli atti di accertamento disposti dall'agenzia delle Entrate costituiscono atti di esercizio anche del rapporto previdenziale, rispondendo al fine di semplificare e uniformare le procedure di iscrizione a ruolo delle somme a qualunque titolo dovute all'Inps, nonché di assicurare l'unitarietà nella gestione operativa della riscossione coattiva di tutte le somme dovute all'Istituto.
In conclusione, l'Inps può invocare l'accertamento fiscale formato sulla base di parametri matematici volti a verificare l'esistenza di redditi ulteriori, per suffragare con sufficienza probatoria la pretesa contributiva, ove non resistita da prove di segno contrario.
Il Collegato lavoro in attesa dell’approvazione in Senato
di Andrea Musti, Jacopomaria Nannini