Contenzioso

Licenziamenti, per le imprese la lotteria dei risarcimenti

di Matteo Prioschi

A quattro anni dalla loro introduzione, le “tutele crescenti”, ossia le disposizioni che regolano il regime sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi di lavoratori assunti dal 7marzo 2015, sono sensibilmente diverse da quelle previste nella formulazione originaria del decreto legislativo 23/2015. Con effetti che però vengono valutati in modo differente da chi può rappresentare le due parti di un rapporto di lavoro.

L’aspetto innovativo principale delle tutele crescenti era l’automatica commisurazione dell’indennizzo dovuto al lavoratore in relazione all’anzianità aziendale maturata, con l’ulteriore possibilità di percepire subito la metà di tale importo a fronte di una conciliazione invece dell’avvio di un contenzioso in tribunale. Questo meccanismo consentiva alle imprese di valutare a priori il peso economico di un licenziamento, al lavoratore di sapere quanto avrebbe potuto ottenere, con l’ipotizzata conseguenza che il contenzioso sarebbe diminuito. Altro aspetto era, e in parte ancora è, la riduzione delle ipotesi in cui può essere riconosciuta la reintegra nel posto di lavoro rispetto a quanto previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Novità che, appena introdotte, hanno fatto percepire le tutele crescenti ai lavoratori come meno protettive rispetto al regime previgente.

Tuttavia la Corte costituzionale, con la sentenza 194/2018, ha bocciato questa disposizione, restituendo al giudice la facoltà di determinare l’importo del risarcimento, tenendo conto di elementi quali le dimensioni dell’azienda e il comportamento tenuto dalle parti, oltre all’anzianità. A ciò si sono aggiunte altre pronunce giurisprudenziali e il decreto legge “dignità” che hanno ulteriormente avvicinato i due regimi.

A fronte di ciò, secondo Isabella Covili Faggioli, presidente Aidp (Associazione italiana per la direzione del personale), «nel tempo l’attenzione e la percezione di rischio collegata al nuovo regime è scemata. Il profilo potenzialmente più critico è quello relativo alla quantificazione dell’indennità risarcitoria dopo la sentenza della Corte costituzionale circa l’elevata discrezionalità valutativa in capo ai giudici che non permette previsioni certe sul rischio economico. Questo per ribadire la necessità delle aziende alla stabilità, mentre il quadro normativo in costante ed ipertrofica evoluzione non aiuta le scelte aziendali».

Quadro che peraltro potrebbe cambiare ulteriormente, a seguito della chiamata in causa della Corte di giustizia dell’Unione europea da parte del tribunale di Milano in merito alla coesistenza di due regimi di tutela in caso di licenziamenti collettivi, su cui ora i giudici comunitari dovranno esprimersi. Questioni evidenziate da tempo dai sindacati, in particolare dalla Cgil. Secondo Lorenzo Fassina, che è responsabile dell’ufficio giuridico, i due regimi sono ancora assai differenti tra loro. «La Corte costituzionale ha affermato che il risarcimento automatico non va bene, ma non ha detto nulla sull’applicazione di regimi differenti in base alla data di assunzione. Il rinvio effettuato dal tribunale di Milano va in questa direzione. Inoltre noi, due anni fa, abbiamo proposto reclamo collettivo al Comitato europeo dei diritti sociali e siamo in attesa di una decisione che dovremmo conoscere a breve».

Senza dimenticare che, al di là della giurisprudenza, lavoratori e aziende si possono accordare sul riconoscimento delle tutele dell’articolo 18 invece di quelle “crescenti”. Un’opzione che ha fatto notizia soprattutto quando era in vigore la prima versione della nuova normativa, con diversi accordi a livello aziendale o individuale. Una via che secondo il sindacato può essere e viene ancora percorsa, mentre per i direttori del personale ha perso appeal tra i lavoratori rispetto al recente passato.

Le norme a confronto

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