Adempimenti

Anche per i predicatori religiosi limitata la raccolta di dati personali

di Nicola Bernardi

Nei giorni scorsi i testimoni di Geova hanno diramato una circolare alle circa tremila congregazioni italiane per comunicare che, d’ora in poi, gli oltre 250mila proclamatori attivi nel nostro paese «non potranno più raccogliere dati personali in relazione al ministero di campo», evitando anche di prendere nota degli indirizzi di persone assenti. Nella stessa lettera viene detto che, limitandosi a dare i propri recapiti agli interessati che desiderano essere ricontattati per ricevere maggiori informazioni, i predicatori potranno «fornire l’indirizzo del luogo più vicino in cui si tengono le adunanze, o indirizzare la persona a jw.org», sito ufficiale di questa confessione religiosa attraverso il quale divulga il proprio messaggio basato sulla Bibbia.

La decisione di questa organizzazione religiosa nasce dall’intenzione di uniformarsi all’interpretazione della Corte di giustizia Ue con la sentenza del 10 luglio 2018, adottata nella causa C-25/17, in cui ha stabilito che anche i predicatori porta a porta sono tenuti a rispettare la normativa sulla protezione dei dati personali.

Benché la libertà di coscienza e di religione non fossero state messe in discussione, in quanto tutelate dall’articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo la Cgue gli aderenti a credi religiosi che prevedono un’opera di evangelizzazione come quella dei testimoni di Geova non svolgono attività rientranti in quelle di «carattere personale o domestico» alle quali non si applica il diritto dell’Unione, ma sono tenuti a rispettare il Gdpr, proprio come devono farlo Google o qualsiasi altra azienda che tratta dati personali per scopi commerciali.

Secondo la Corte Ue, quella di «predicatore spirituale» non è quindi considerata una vocazione di natura personale, ma una vera e propria attività svolta per conto di un’organizzazione, anche quando si tratta di una confessione religiosa. Eventuali appunti presi a titolo di promemoria a seguito delle conversazioni avute con le persone contattate o riguardanti quelle che sono assenti al momento della visita, e che possono comprendere il nome, l’indirizzo e altre informazioni, costituiscono «trattamento di dati personali» e devono perciò rispettare le norme sulla privacy.

Rileva che lo stesso principio si applica per estensione anche ai membri di altre comunità religiose che necessitino di annotare informazioni sulle persone che cercano di contattare, come ad esempio i mormoni o i sacerdoti cattolici che nel periodo di Pasqua volessero annotare i nominativi delle famiglie che non trovano a casa per ricordarsi da chi tornare per dispensare l’acqua benedetta.

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