Adempimenti

L’agenda manovra: Iva, cuneo, Impresa 4.0 e 80 euro allargati

di Marco Rogari, Gianni Trovati

Lo stop agli aumenti Iva è la prima «ragione sociale» per il prossimo governo. Ma il lavoro sull’agenda di politica economica, rilanciato ieri in una prima riunione alla Camera tra Pd e M5S, punta anche su altre priorità. Tre, su tutte: la riduzione del cuneo fiscale, un rilancio del pacchetto Impresa 4.0 e misure concentrate sui redditi bassi, anche da opporre politicamente alla Flat Tax «per i ricchi» di marca leghista. Per ora si va per capitoli, senza entrare nei dettagli: che però andranno definiti in fretta nel lavoro vero e proprio sulla manovra con in mano i numeri della Ragioneria.

L’obiettivo è di caratterizzare una via alternativa a quella leghista, ma senza entrare in conflitto con il decalogo pentastellato. Di qui i principali terreni d’intesa: l’intervento sul cuneo fiscale e gli aiuti ai redditi bassi, da declinare sotto il titolo del “piano famiglia” evocato ieri dal capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio. In campo c’è l’idea di un «assegno unico» per le famiglie in cui potrebbero confluire le agevolazioni oggi sparse in varie misure scoordinate fra loro.

Il tema è anche nelle priorità Cinque Stelle. E può essere tradotto in vari strumenti. Sul tavolo c’è l’estensione del bonus 80 euro agli «incapienti», cioè ai redditi troppo bassi (fino a 8mila euro) per ottenere lo sconto attuale. Tra le opzioni c’è anche l’«imposta negativa», un assegno che cresce al diminuire del reddito, mentre perde quota il taglio della prima aliquota Irpef. Per un problema evidente: costa di più, e disperde il beneficio perché riduce il conto anche ai redditi alti. Più di un «no» arriva anche all’ipotesi di trasformare gli 80 euro in una detrazione, a cui si è lavorato al Mef in questi mesi. La detrazione fissa, spinta dalla Lega, modificherebbe la percezione mensile, resa evidente dal meccanismo attuale del bonus.

Sul cuneo, i Cinque Stelle arrivano con una proposta già formata, e presentata alle parti sociali negli incontri pre-crisi a Palazzo Chigi. Ma la partita di giro che compensa con una riduzione fiscale o contributiva i costi aggiuntivi del salario minimo non piace al Pd. Che punta a un «piano shock» per arrivare a offrire una mensilità in più a tutti gli stipendi fino a 55mila euro. Ma il piano, elaborato anche per rispondere colpo su colpo alla Flat Tax leghista, avrebbe bisogno di 15 miliardi. Che oggi non ci sono.L’ottica sarebbe quindi pluriennale, articolata in mosse progressive con un taglio di un punto all’anno per cinque anni.

Tutte le ambizioni devono fare i conti con le risorse, che sono tutt’altro che infinite. Nonostante la flessibilità Ue facilitata dal fatto che il deficit si fermerà molto sotto le previsioni (possibile chiudere il 2019 a 1,9%, per arrivare intorno a 1,6% nel tendenziale 2020 a legislazione invariata). A caccia di fondi le attenzioni si concentrano su una revisione di quota 100, per aumentare i “risparmi” (circa 6 miliardi) che già sono in arrivo per la minor spesa rispetto al previsto prodotta da pensioni e reddito di cittadinanza. L’ipotesi è di restringere il bacino, ma non è esclusa nemmeno la chiusura nel 2020 della sperimentazione, con qualche misura compensativa. A migliorare i conti rispetto al Def c’è poi il maggior gettito prodotto dalla fatturazione elettronica: e anche su questo terreno ci sono possibilità di sviluppi ulteriori, in particolare allargando il raggio d’azione di fattura e scontrino elettronico a categorie che oggi ne sono escluse. A raccogliere risorse dovrebbe poi intervenire un nuovo tentativo di web tax.

Un tagliando potrebbe arrivare anche per il reddito di cittadinanza. L’alleanza Pd-M5s manda ovviamente in soffitta la contrapposizione frontale con il Rei. Ma i punti deboli sulle politiche attive sono evidenti, e soprattutto nel Pd si ragiona sull’affiancamento con altri strumenti, a partire dall’assegno di ricollocazione, lasciando al reddito soprattutto la funzione anti-povertà.

Anche sulle crisi aziendali arriva qualche punto di unione. Tra le ipotesi c’è un irrobustimento della Cig straordinaria, oggi l’unico strumento di sostegno prima della perdita del posto di lavoro. Sul salario minimo, l’ipotesi è che lo strumento non debba essere un grimaldello per “uscire” dai contratti nazionali, che in genere garantiscono più tutele e diritti ai lavoratori. Si dovrebbe perciò abbandonare l’idea di fissare, per tutti ed ex lege, un minimo orario per rafforzare il ruolo dei contratti.

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