Le norme antinfortunistiche tutelano anche gli estranei all'attività
La riforma operata dal decreto legislativo 81/2008, ha notevolmente ampliato la nozione di “lavoratore tutelato”, ricomprendendo non solo i dipendenti, qualunque sia il contratto di lavoro scelto dalle parti, ma anche una serie di “equiparati” (soci lavoratori, co.co.co che svolgono la prestazione nei luoghi di lavoro del committente), fatte salve alcune eccezioni. Spesso, però, si ha l'idea (errata) che la protezione accordata dall'ordinamento riguardi unicamente tali soggetti dimenticando, invece, che la tutela generale è riconosciuta anche ai terzi estranei alle lavorazioni che, comunque, si trovano all'interno dei luoghi di lavoro (per esempio clienti, utenti, ospiti).
Tale principio recentemente è stato ribadito dalla Corte di cassazione, quarta sezione IV penale che, con la sentenza 22 luglio 2019 numero 32521, ne ha ulteriormente tratteggiato alcuni profili di particolare interesse che inducono anche a delle riflessioni sul dovere di vigilanza del datore di lavoro e la posizione del lavoratore.
La vicenda
Durante dei lavori di ristrutturazione di un fabbricato, il coniuge della committente delle opere appaltate, salito al primo piano, è precipitato nel foro fatto nel pavimento riportando lesioni gravissime. Dagli accertamenti compiuti è emerso che il lavoratore della ditta incaricata di compiere la pavimentazione durante i lavori di stesura del massetto ha rimosso una botola in legno che copriva detto foro nel pavimento, dove doveva essere posta una scala di collegamento tra i piani, ma senza porre alcun segnale di pericolo atto a delimitare il buco o a segnalarne la presenza.
Sia il tribunale sia la Corte d'appello hanno ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose gravissime, con violazione della disciplina antinfortunistica, di cui all'articolo 590 del Codice penale, il datore di lavoro della ditta, ravvisando un difetto di vigilanza sul proprio dipendente.
L'imputato ha proposto ricorso per cassazione censurando sotto vari profili l'operato dei giudici di merito e facendo rilevare, in particolare, che l'articolo 590 mirerebbe a tutelare solo i lavoratori e non i soggetti estranei alle attività produttive, quale sarebbe il committente del lavoro, essendo la persona offesa il marito della proprietaria dell'appartamento: mancherebbe, in conseguenza, la condizione di procedibilità.
Tutela dei terzi estranei alle lavorazione
La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso, facendo rilevare che, al contrario, le norme sulla prevenzione infortuni non riguardano solo i lavoratori ma anche i “terzi”; sottolineano, infatti, i giudici di legittimità che in tale ambito è ormai “pacifico che il soggetto beneficiario della tutela è anche il terzo estraneo all'organizzazione dei lavori”.
Di conseguenza il regime specifico di tutela, oggi contenuto principalmente nel Dlgs 81/2008, si sostanzia in una serie di doveri posti in primo luogo a carico del datore di lavoro, che di riflesso sono finalizzati alla tutela anche di chi, pur estraneo alle attività come nel caso di specie, viene a trovarsi all'interno dei luoghi di lavoro, compreso naturalmente il coniuge del committente.
Omesso dovere di vigilanza sul proprio dipendente
Per tale ragione, quindi, secondo la Cassazione è da ritenersi responsabile il datore di lavoro per non aver vigilato sul rispetto da parte di un proprio dipendente delle misure di sicurezza per evitare infortuni che, in concreto, avrebbe dovuto delimitare il foro e segnalarne il pericolo di caduta.
Un'ultima annotazione: nella sentenza non viene fatto nessun accenno alle responsabilità del lavoratore che ha omesso di attuare tali misure di sicurezza. Eppure già all'epoca dei fatti l'articolo 5, comma 1, del Dlgs 626/1994, oggi articolo 20 del Dlgs 81/2008, affermava chiaramente che “ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
Ciò desta, invero, delle perplessità in quanto non può nemmeno essere dimenticato che proprio la Cassazione in altre occasioni ha affermato che non può essere ritenuto più applicabile il modello iperprotettivo del lavoratore.