Contenzioso

I compensi incentivanti spettano in misura piena anche a fronte di permessi per assistere familiari disabili

di Silvano Imbriaci

La questione affrontata dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 20684/2016 riguarda la compatibilità, nel caso di pubblico dipendente, tra fruizione dei permessi per assistenza a persone con handicap, in base all’articolo 33, comma 3 della legge 104/1992 e il diritto ad una retribuzione piena, comprendente cioè il computo integrale di dette giornate di permesso ai fini dell'attribuzione di forme di compenso incentivante (retribuzione accessoria).

Secondo la ricostruzione dell'amministrazione datore di lavoro, che aveva negato la computabilità di tali giornate di permesso ai fini del calcolo complessivo di questo tipo di incentivi, sul punto deve differenziarsi la disciplina del lavoro pubblico rispetto a quella del lavoro privato, in quanto solo nel settore pubblico il dipendente che si assenta per l'assistenza ai portatori di handicap percepisce la normale retribuzione e il versamento della contribuzione effettiva, mentre nel settore privato il dipendente ha diritto a una indennità sostitutiva della retribuzione versata direttamente dall'Inps, con riduzione delle ferie e della tredicesima mensilità, oltre al riconoscimento della contribuzione figurativa. La diversa disciplina giustificherebbe la circostanza dell'esclusione dei compensi incentivanti, quale tipica forma di retribuzione accessoria nel pubblico impiego strettamente connessa alla valutazione dell'effettivo impegno profuso nel conseguimento degli obiettivi fissati dall'ente.

La sezione lavoro risolve la questione basandosi sull'interpretazione lessicale dei testi normativi (anche di interpretazione autentica). In base all'articolo 33, comma 3, della legge 104/1992, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste il familiare portatore di handicap ha diritto alla fruizione di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa anche continuativa. La norma richiama, come direttamente applicabili, alcune disposizioni, tra cui la legge 903/1977 (articoli 7 e 8), il cui contenuto è stato travasato nell'odierno articolo 43 del Dlgs 151/2001 (testo unico delle norme in materia di sostegno alla maternità), secondo cui per i riposi previsti dalla legge 1204/1971 (articolo 10) la lavoratrice ha diritto a un'indennità pari all'intero ammontare della retribuzione relativa ai riposi medesimi, anticipata dal datore di lavoro secondo il meccanismo del conguaglio con la contribuzione corrente Inps.

Sul punto, la norma di interpretazione autentica contenuta nell'articolo 2, comma ter, del Dl 324/1993 osserva che la locuzione “hanno diritto a tre giorni di permesso mensile”, contenuta nell'articolo 33 della legge 104/1992, deve essere interpretata nel senso che il permesso mensile deve essere comunque retribuito. L'allargamento del diritto alla retribuzione piena anche nel settore pubblico, comporta, secondo la sezione lavoro, l'illegittimità di eventuali decurtazioni, sia pure attinenti a componenti accessorie della retribuzione stessa.

Dal momento che la normativa (in questo caso di settore, riferita cioè all'amministrazione di appartenenza del ricorrente) prevede espressamente il pagamento dei compensi incentivanti solo sulla base di una verifica dei risultati conseguiti, non vi è alcun fondamento normativo idoneo a escludere, in caso di esito positivo della verifica, il pagamento anche per i giorni di assenza dal lavoro per “permesso 104”. Lo stesso dato contrattuale deve essere letto in tal senso, ma con una precisazione.

Quanto alla contrattazione collettiva, infatti, ove questa non parli espressamente della fattispecie, non per questo si ritiene automaticamente esclusa la corresponsione della retribuzione in misura piena (e sul punto indcazioni rilevanti ed utili possono derivare dalla verifica del trattamento come previsto per i lavoratori part-time, ai quali la situazione dei lavoratori assenti per permesso retribuito appare, pur con le dovute differenze, del tutto omogenea).

L'unico spiraglio che forse l'interpretazione della Cassazione sembra concedere (ma su cui non si è avuta, almeno nel caso di specie alcuna statuizione, in assenza dei testi contrattuali su cui esercitare la verifica) riguarda la contrattazione integrativa o di ente, nella quale può essere stabilito, sull'accordo delle parti, il collegamento tra singole voci della retribuzione accessoria e la effettiva presenza in servizio. Ma anche in questo caso, tuttavia, l'esclusione deve essere espressamente sancita e comunque dovrà essere valutata nel contesto delle indicazioni normative che in ogni caso impongono il pagamento della retribuzione in misura piena in presenza dei presupposti di legge (raggiungimento degli obiettivi).

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