Contenzioso

Utilizzabilità dei buoni pasto e risarcimento danni al lavoratore

di Silvano Imbriaci

Nella vicenda esaminata dalla sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza 14388/2016, vengono in considerazione vari aspetti tra loro combinati: la corresponsione di buoni pasto al lavoratore, l'identificazione della loro natura in rapporto alla retribuzione, lo stato di disabilità del lavoratore stesso (trattasi di non vedente), la maggiore difficoltà e per certi versi l'impossibilità di una concreta ed agevole fruizione dei buoni pasto negli esercizi commerciali situati nelle vicinanze del luogo di lavoro.

Questa serie di (sfortunate) circostanze ha indotto il lavoratore a chiedere in prima battuta l'accertamento dell'inadempimento del datore di lavoro (nel caso di specie agenzia delle Entrate) a causa della non spendibilità dei buoni pasto materialmente consegnati ed in secondo luogo il risarcimento dei danni conseguenti.

La Cassazione, molto opportunamente, circoscrive meglio il tema rispetto a quanto risultante dalle sentenze di merito. La questione controversa, infatti, non è tanto la verifica della natura del “buono pasto”, ai fini della sua funzione retributiva o più propriamente assistenziale, quanto la valutazione degli effetti della mancata fruizione in concreto di tale beneficio in ordine all'adempimento degli obblighi a carico del datore di lavoro relativi alla tutela della salute del lavoratore.

In altre parole, il lavoratore non ha inteso ottenere una semplice sostituzione dei buoni pasto con una somma in denaro corrispondente al loro valore nominale, quanto il riconoscimento di un inadempimento da parte del datore di lavoro e la condanna dello stesso ad un risarcimento del danno soprattutto avendo riguardo alla sua condizione di non vedente.

E' evidente la correzione di tiro da parte della Suprema corte: la vicenda deve essere inquadrata nell'ambito degli obblighi di protezione e della tutela della salute dei soggetti portatori di handicap. Essendo pacifico che i buoni pasto consegnati non possono essere spesi nella mensa interna o negli esercizi commerciali adiacenti al luogo di lavoro (per vari motivi che non interessano), occorre verificare se tale difficoltà nella fruizione dei ticket, nel caso di lavoratore non vedente, equivalga ad un inadempimento degli obblighi di tutela della salute del lavoratore.

Non basta, infatti, affermare che in qualche esercizio commerciale tali buoni pasto sono accettati, quando nei luoghi più accessibili ad un soggetto portatore di handicap questo non succede. Infatti, l'attribuzione dei buoni pasto costituisce una agevolazione di carattere assistenziale, finalizzata a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, offrendogli, dove non è previsto un servizio mensa, la possibilità di fruire del pasto all'esterno, con il costo a carico del datore di lavoro. E tutto questo nell'ottica di garantire il benessere psico-fisico per la prosecuzione dell'attività lavorativa, esigenza che passa attraverso la tutela della salute e l'attenzione verso le situazioni di svantaggio (evidenziando la ratio assistenziale di questa forma di erogazione).

Molto efficacemente la sentenza infatti mette in luce la funzione strumentale del buono pasto proprio ai fini della tutela del diritto alla salute del dipendente. Il datore non può limitarsi a mettere a disposizione del dipendente il buono pasto, ma deve fare in modo che lo stesso sia concretamente fruibile, in ragione delle condizioni personali di ciascuno (vengono in mente i profili relativi ai regimi alimentari differenziati in situazioni di patologie accertate, o comunque le situazioni che rendono possibile una disciplina più elastica, anche in termini di orario, della pausa mensa).

La semplice attribuzione di un buono pasto non accettato negli esercizi commerciali facilmente raggiungibili, avuto riguardo anche alla condizione di disabilità del lavoratore, sicuramente non è conforme alla necessità che il datore di lavoro predisponga strumenti di favore per i lavoratori che si trovino in particolari situazioni di svantaggio, anche in relazione alla flessibilità dell'orario (si veda il testo dell'art. 7 del d.lgs. n.151/2001, anche prima delle modifiche apportate dalla legge n. 183/2010, oppure la normativa di favore contenuta nella contrattazione collettiva di riferimento). Del resto anche la normativa sovranazionale impone il superamento di ogni discriminazione in ambito lavorativo e dunque la necessità di compensare una maggiore difficoltà nella fruizione di un servizio con gli strumenti idonei a superarla (Direttiva 2000/78/CE, con formulazioni di principio raccolte anche dall'art. 3, comma 3 bis, del d.l. n. 76/2013, conv. in l. n. 99/2013).

Ne consegue che le amministrazioni datrici di lavoro (e comunque i datori di lavoro in genere) devono fornire ai lavoratori disabili, che ne sono beneficiari in base alla contrattazione di settore, dei buoni pasto che risultino per i destinatari, materialmente fruibili in relazione alla loro condizione di disabilità, potendo essere altrimenti tenute in caso contrario, a risarcire i danni conseguenti.

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