Contrattazione

Il quesito cancella radicalmente i voucher

di Giorgio Pogliotti

Dopo il via libera della Consulta, gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi sull’abrogazione dei voucher proposta dalla Cgil.

I buoni per il lavoro accessorio venduti nei primi nove mesi del 2016 sono stati 109,5 milioni, il 34,6% in più rispetto allo stesso periodo del 2015, anno che si concluse con 114,9 milioni di buoni venduti (+66,1% sul 2014). Per la Cgil questo boom è frutto di un utilizzo irregolare, i buoni lavoro sono spesso impiegati per aggirare il ricorso ai contratti. Ma con una vittoria del sì al referendum sarà abrogata la disciplina sul lavoro accessorio e verrà meno uno strumento - che se utilizzato nel rispetto della legge - serve per pagare i “lavoretti”. Del resto al presidente dell’Inps che ha rivelato come la Cgil abbia speso 750mila euro in voucher, il sindacato ha risposto rivendicando la legittimità dell’utilizzo dei buoni lavoro, destinati soprattutto ai pensionati che operavano saltuariamente per alcune ore al giorno per l’accoglienza nelle sedi del sindacato Spi. Tuttavia con l’abolizione secca dei voucher per le prestazioni accessorie verrebbe a decadere lo strumento regolatorio. Resta quindi l’incognita dell’effetto che si avrebbe sul sommerso che rappresenta ancora una grande fetta del mercato del lavoro. Il vuoto legislativo avrebbe gravi ripercussioni, a vantaggio del lavoro nero. Non a caso la stessa Cgil da un lato spinge per l’abrogazione dei voucher, dall’altro propone nella Carta dei diritti una «disciplina del contratto di lavoro subordinato occasionale» che ha ad oggetto «prestazioni di natura meramente occasionale o saltuaria». Ma che grado di appeal potrà avere questa proposta per le imprese, considerando che con il lavoro accessorio sono state regolamentate prestazioni lavorative non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o autonomo?.

Per capire la consistenza del fenomeno “voucher” è opportuno leggere il report congiunto Ministero del lavoro, Istat, Inps e Inail, di fine dicembre: i voucher riscossi in tutto il 2015, quasi 88 milioni, equivalgono a circa 47mila lavoratori annui full time e rappresentano solo lo 0,23% del totale del costo del lavoro in Italia. In media nel 2015 ciascun lavoratore che ha usufruito di voucher ne ha utilizzati 29, come a dire che il 50% dei prestatori di lavoro accessorio ha riscosso voucher per un massimo di 217,50 euro netti. L’ultimo studio sul tema, curato dal ministero del Lavoro (marzo 2016), evidenzia che i percettori di almeno un voucher nel 2015 sono stati 1,3 milioni, tra le classi d’età prevale quella da 26 a 59 anni (61%), segue quella fino a 25 anni (31%), quella da 60 a 65 anni (4,1%) ed oltre 65 anni (3,9%). Le tre regioni con più voucher venduti sono la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna. Altro dato importante che emerge dallo studio del ministero del Lavoro: solo il 7,9% dei lavoratori retribuiti con voucher avevano avuto nei tre mesi precedenti la prestazione un rapporto di lavoro con lo stesso datore, il 10% se si prendono come riferimento i sei mesi precedenti. I settori in cui il fenomeno della provenienza da altri contratti è più consistente sono quelli del turismo, del commercio e dei servizi.

Introdotti con la legge Biagi nel 2003, per far emergere il sommerso e favorire l’inclusione lavorativa di soggetti svantaggiati per una serie ristretta di prestazioni, i voucher sono stati oggetto di ripetuti interventi di modifica, operati da diversi governi. Tre le novità apportate dal governo Renzi con il Jobs act: è aumentato da 5mila a 7mila euro il limite di compenso (mantenendo il tetto di 2mila euro per ciascun committente), introdotto il divieto del ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell’esecuzione di appalti di opere o servizi, e dagli inizi di ottobre è scattata la tracciabilità dei voucher. Ma bisogna attendere qualche mese per conoscere l’impatto della norma anti-abusi.

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