Contenzioso

Il verbale di conciliazione «archivia» la sentenza

di Giampiero Falasca

La firma del verbale di conciliazione determina la cessazione della materia del contendere, travolgendo anche l'eventuale giudicato formatosi in relazione a una sentenza emessa in precedenza.

Con questa conclusione la Cassazione (sentenza n. 20006, pubblicata lo scorso 11 agosto) ha rigettato il ricorso di un lavoratore che, dopo essere stato licenziato, aveva ottenuto una sentenza di reintegrazione sul posto di lavoro, con conseguente diritto alla regolarizzazione della sua posizione previdenziale.

Dopo l'emanazione di questa sentenza e l'avvio del giudizio d'appello da parte del datore di lavoro, il lavoratore e l'azienda avevano sottoscritto un verbale di conciliazione con il quale l'ex dipendente accettava un incentivo all'esodo e rinunciava ad impugnare il recesso; di conseguenza, la Corte d'appello dichiarava cessata la materia del contendere.

Nonostante l'accettazione dell'incentivo all'esodo e la rinuncia impugnare il licenziamento, il lavoratore chiedeva che fosse comunque accertata la sopravvivenza dell'onere contributivo a carico del datore di lavoro per il periodo interessato dalla sentenza che aveva ordinato la reintegrazione.

Questa richiesta è stata rigettata dalla Cassazione, la quale ha evidenziato che, tenendo conto degli impegni presi con il verbale di conciliazione, la sentenza di primo grado doveva considerarsi definitivamente e completamente superata dal nuovo e definitivo assetto di interessi che le parti avevano scelto di dare alla controversia.

In altre parole, secondo i giudici di legittimità, con la conciliazione in sede sindacale le parti possono regolare un rapporto contrattuale in via autonoma rispetto a quanto eventualmente deciso da una sentenza precedente.

Rispetto a tale accordo conciliativo, la sentenza precedente si configura soltanto come il titolo e il presupposto per giungere all'accordo novativo; tale accordo può dispiegare i propri effetti in coerenza del principio, già affermato dalla Corte di cassazione (sentenza 24 giugno 2006), secondo il quale “il giudicato rimane nella disponibilità delle parti, le quali restano libere di concordare un diverso assetto dei loro interessi”.

La sentenza ricorda anche un passaggio procedimentale molto importante ma spesso dimenticato dalle parti che propongono ricorso per cassazione: chi intende denunciare, in sede di legittimità, l'omessa o inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, è tenuto a specificare con precisione non solo il nesso eziologico tra l'errore denunciato e la sentenza che si assume viziata, ma deve anche trascrivere integralmente il contenuto degli atti e dei documenti.

Non basta, quindi, indicare il fascicolo in cui si colloca il documento e riportare la sua numerazione; senza la sua integrale trascrizione, il ricorso per cassazione è viziato da inammissibilità.

La sentenza n. 20006/17 della Corte di cassazione

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