Contenzioso

Per chi amministra gettone non dovuto

di Giampiero Falasca

Il compenso dell’ amministratore è un diritto disponibile e, come tale, lo statuto sociale può prevedere che l’attività sia svolta gratis; l’insussistenza di tale diritto è rafforzata dalla natura del rapporto che lega l’amministratore con la società, incompatibile con un legame contrattuale tra le parti.

La Corte di cassazione conferma ( sentenza 15382/2017 depositata ieri) gli indirizzi prevalenti di legittimità in tema di compenso degli amministratori, applicando anche - per la prima volta - la ricostruzione rivoluzionaria operata dalle sezioni unite (con la sentenza 1545/2017) in tema di natura del rapporto che lega l’amministratore alla società.

La sentenza conclude una controversia promossa da un direttore amministrativo di una società che ha convenuto in giudizio l’azienda allo scopo di ottenere il pagamento del compenso per l’incarico di amministratore unico svolto per l’azienda.

La Corte, confermando gli orientamenti prevalenti della giurisprudenza di legittimità, rigetta questa domanda, ricordando che seppure l’amministratore di una società, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto a essere compensato per le prestazioni svolte, tale diritto può essere liberamente rinunciato dal professionista, oppure può essere derogato da una clausola dello statuto sociale, la quale può condizionare il diritto al pagamento del compenso al conseguimento di utili, oppure può sancire la completa gratuità dell’incarico.

La sentenza avvalora tale lettura, facendo leva anche sulla recente pronuncia delle sezioni unite, che hanno precisato che l’amministratore è un organo della società al quale sono affidati poteri gestori e, come tale, non è legato da un rapporto contrattuale tra le parti.

La decisione chiarisce che non si potrebbe riconoscere un diritto al compenso neppure accogliendo un’interpretazione opposta a quella delle sezioni unite.

In particolare, anche ove il rapporto tra l’amministratore e la società fosse ricostruibile come un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (in base all’articolo 409 del codice di procedura civile), non sarebbe comunque applicabile il principio (sancito dall’articolo 36 della Costituzione) della retribuzione proporzionata e sufficiente, in quanto tale precetto costituzionale è vincolante solo per il lavoro subordinato.

Allo stesso modo, la decisione esclude la sussistenza di un diritto inalienabile al compenso anche se il rapporto che lega l’amministratore alla società fosse configurabile - come in precedenza escluso dalle sezioni unite - come una prestazione di lavoro autonomo.

Pure in questo caso, conclude la Corte, non sussisterebbe un diritto al compenso, in quanto l’onerosità non costituisce un requisito indispensabile dell’attività di lavoro autonomo, ben potendo legarsi tale prestazione con la gratuità (come chiarito dalla sentenza 2769/2014).

La sentenza 15382/17 della Corte di cassazione

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