Contenzioso

I sindacati che rappresentano i collaboratori possono attivare il procedimento per repressione di condotta antisindacale

di Vittorio De Luca e Roberta Padula

Il Tribunale di Milano, con decreto del 28 marzo 2021, ha riconosciuto la condotta antisindacale ex art. 28 della legge n. 300/1970 di una società che, attraverso un video messaggio diffuso dal proprio presidente del consiglio di amministrazione, aveva invitato i propri collaboratori ad iscriversi ad una organizzazione sindacale, al fine di stipulare un accordo collettivo di settore.
Il fatto - Con ricorso ex art. 28, Legge 300/1970, le OO.SS. Filcams CGIL, NIDIL CGIL, UILTEMP Lombardia e UILTUCS Lombardia si sono rivolte al Tribunale di Milano, in funzione del Giudice del Lavoro, al fine di accertare e dichiarare la natura antisindacale della condotta posta in essere dalla società convenuta. In particolare, la società, in persona del proprio Presidente del Consiglio di Amministrazione nonché Presidente di una associazione di categoria, nel gennaio scorso ha inviato un video messaggio a tutti i propri collaboratori, non inquadrati con rapporto di lavoro subordinato, invitandoli ad aderire a una associazione sindacale di nuova costituzione, al fine di siglare l'accordo nazionale raggiunto in data 30 dicembre 2020 con FISASCAT. A fronte della denuncia di antisindacalità presentata dalle sigle sindacali ricorrenti, la società resistente ha opposto plurime eccezioni preliminari e, nel merito, ha chiesto il rigetto del ricorso.
La decisione del Tribunale di Milano - In via preliminare, la società ha eccepito che lo strumento processuale (ricorso ex art. 28 St. Lav.) utilizzato dalle sigle sindacali risulta inapplicabile al caso di specie, in quanto il predetto rimedio può essere utilizzato esclusivamente per i rapporti di lavoro riconducibili nell'alveo della subordinazione.
Il Tribunale di Milano, ribaltando, di fatto, un recentissimo precedente giurisprudenziale sul punto (Trib. Firenze, 9 febbraio 2021), ha affermato che la suddetta tesi non può essere condivisa, per le ragioni di seguito esposte.
Il percorso argomentativo sviluppato dal Tribunale parte dall'assunto che è pacifico che, nel caso di specie, la società abbia riconosciuto un ruolo fondamentale alle organizzazioni sindacali, quali indispensabili interlocutori nel dialogo contrattuale.
Ciò premesso, il Giudice del Lavoro di Milano si è interrogato su quale tutela possano attivare tali organizzazioni allorquando ritengano lesi i propri diritti sindacali.
Per rispondere a questo quesito, il Giudice ha proceduto all'analisi della natura del rapporto che si instaura tra la società resistente e i collaboratori non subordinati del caso di specie.
Il Giudice, partendo dall'oggetto sociale della convenuta, consistente nella effettuazione della spesa per conto terzi, ha rilevato che i collaboratori, una volta data la loro adesione iniziale, entrano nella piattaforma digitale, danno la propria disponibilità in determinati "slot" (turni) ed in una determinata zona e ricevono l'assegnazione degli ordini. Gli ordini devono poi essere evasi dai collaboratori, che sono tenuti a recarsi nei supermercati prescelti per effettuare la spesa e recapitarla ai clienti.
Il Tribunale di Milano è giunto pertanto alla conclusione che il rapporto che si instaura tra la società e i collaboratori - peraltro qualificati nel sito della società come prestatori d'opera occasionale - non rientra nell'alveo della subordinazione, in quanto difetta principalmente l'obbligatorietà della prestazione: i collaboratori non hanno l'obbligo di prenotarsi per gli slot determinati e, qualora non lo facciano, non viene allegata alcuna conseguenza sanzionatoria o penalizzante.
Piuttosto, afferma il Tribunale, il rapporto tra la società resistente e i collaboratori rientra nell'ambito delle collaborazioni previste dall'art. 2, D.Lgs. 81/15, che, come noto, prevede che "A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali".
Ed infatti, nel caso di specie, le prestazioni rese dai collaboratori hanno carattere prevalentemente personale e continuativo, le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente mediante piattaforme anche digitali.
Alla luce della citata disposizione legislativa, la disciplina del rapporto di lavoro subordinato si estende ai rapporti di collaborazione organizzati dal committente.
Al riguardo, tuttavia, ad avviso del Tribunale di Milano, l'estensione non può che riguardare ogni profilo, sia di carattere sostanziale, sia processuale.
Inoltre, sempre ad avviso del Tribunale, non vi è alcuna preclusione nell'avvalersi del rimedio ordinario previsto dall'art. 414 cod. proc. civ., dal momento che tale norma non riserva la propria operatività a determinate ipotesi soggettive.
Quanto invece allo strumento processuale ex art. 28 St. lav., sulla base di un'interpretazione letterale della norma, la sua sfera di applicazione sembra limitata alle condotte antisindacali poste in essere da un "datore di lavoro", figura che si rinviene esclusivamente nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato.
Ciò nonostante, secondo il Tribunale di Milano, il disposto di cui all'art. 2 D.Lgs. 81/15 e la sua applicazione alle forme di collaborazione organizzate dal committente permette di estendere il predetto rimedio anche ai rapporti che fuoriescono dall'alveo della subordinazione in senso stretto.
Di conseguenza, il Tribunale di Milano - pur consapevole del precedente giurisprudenziale che aveva circoscritto l'area di applicazione dell'art. 2, D.Lgs. 81/15 alle sole norme sostanziali, escludendo dunque quelle processuali quali l'art. 28, Legge 300/1970 - si è espresso in senso difforme, affermando che, nell'ipotesi di rapporti di collaborazione che rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 2, D.Lgs. 81/15, le organizzazioni sindacali sono legittimate ad attivare la tutela processuale ex art. 28 legge 300/1970.
Respinta l'eccezione di carattere preliminare, il Tribunale ha poi esaminato la questione nel merito.
Il Giudice del Lavoro ha ritenuto che la società resistente abbia violato il precetto di cui all'art. 17 Legge 300/1970, che vieta all'imprenditore di sostenere, con qualsiasi mezzo, le associazioni sindacali dei lavoratori.
Invero, il messaggio divulgato dal presidente della convenuta, mediante il quale i collaboratori sono stati invitati ad aderire alla neocostituita associazione sindacale, ha rappresentato un'indebita ingerenza del datore di lavoro nel campo della libertà sindacale e del necessario conflitto tra organizzazioni.
Peraltro, l'ingerenza della società è risultata ancora più concreta e pregnante laddove, al fine di sollecitare i collaboratori all'adesione all'associazione sindacale di nuova costituzione, il presidente ha altresì evidenziato i rischi della mancata sottoscrizione dell'accordo sindacale, nonché le possibili ripercussioni sulle sorti della società e, quindi, sul singolo rapporto di lavoro.
In aggiunta a quanto sopra, il Tribunale di Milano ha ritenuto che sia stato violato il disposto dell'art. 8 Legge 300/1970, ossia il divieto di raccogliere informazioni sulle scelte sindacali dei lavoratori.
Ed infatti, mediante il messaggio che è stato trasmesso, il presidente non solo ha invitato i lavoratori ad aderire ad una determinata associazione, ma, veicolando le adesioni, di fatto sarebbe venuto a conoscenza di chi tra i collaboratori ha seguito le proprie indicazioni e chi, invece, le ha rifiutate.
Per tutte le ragioni sopra esposte, il comportamento della società resistente ha integrato una condotta antisindacale.
Alla luce di quanto sopra, il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso ex art. 28 Legge 300/1970 promosso dalle organizzazioni sindacali, ordinando alla società - peraltro condannata alla rifusione delle spese di lite - di:
– cancellare dalla piattaforma digitale il proprio video messaggio del 24 gennaio 2021;
– comunicare il provvedimento del Tribunale di Milano e di dare lettura del dispositivo a tutti i collaboratori della società tramite un analogo video messaggio del proprio amministratore, con le stesse modalità del video trasmesso in data 24 gennaio 2021;
– pubblicare l'intero provvedimento sulla pagina web aziendale.

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