L'esperto rispondeRapporti di lavoro

Legge contro il caporalato e contrattazione

di Alberto Bosco

La domanda

In seguito all'emanazione della legge 199/2016 e sue circolari, in cui tra gli elementi presi in considerazione al fine di valutare l'eventuale sfruttamento, c'è anche l'applicazione dei contratti collettivi sottoscritti dalle sigle sindacali maggiormente rappresentative, la lettura della norma è come se volesse far intendere, che dalla sua entrata in vigore non sono più applicabili i contratti minori, sino ad oggi applicati da molte aziende, è giusta la mia interpretazione? e quali sono i rischi nel caso in cui venissero utilizzati ancora i contratti cd minori?

La legge 29 ottobre 2016, n. 199, all’art. 1 (modifica dell'art. 603-bis cod. pen.), fa riferimento, quale indice di sfruttamento, alla “reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme” dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato. Non pare quindi sufficiente uno scostamento occasionale e non particolarmente rilevante, così come del resto avviene per la determinazione della retribuzione equa e sufficiente ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione. L’art. 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, dispone che, salvo diversa previsione, ai fini del medesimo decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale unitaria. Va peraltro ricordato – in assenza di ulteriori chiarimenti “ufficiali” sulle nuove disposizioni in materia di contrasto al lavoro nero e al caporalato di cui alle legge n. 199/2016 – che il Ministero del lavoro, con nota 15 dicembre 2015, n. 27, ha precisato che gli indici sintomatici per la verifica comparativa del grado di rappresentatività sono: numero complessivo di lavoratori occupati e imprese associate; diffusione territoriale (numero di sedi presenti sul territorio e ambiti settoriali); e infine, numero dei contratti collettivi nazionali sottoscritti. Purtroppo la norma non contiene un riferimento preciso e sufficientemente chiaro di cosa sia un trattamento retributivo palesemente difforme. Gli organi di vigilanza e la magistratura dispongono, dunque, di margini di valutazione assai ampi a danno della certezza del diritto.

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