Rapporti di lavoro

Dlgs Trasparenza/2: sui sistemi automatizzati è difficile individuare i segreti aziendali

I nuovi obblighi di informazione del lavoratore e dei sindacati sull’uso dei sistemi automatizzati escludono le informazioni qualificate come segreti aziendali: è il datore, però, a dover effettuare ex ante questa valutazione

di Luca Barbieri e Ilaria Carli

Con riguardo all’articolo 1-bis del Dlgs 152/1997 in tema di ulteriori obblighi informativi nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, introdotti dal decreto «Trasparenza» (Dlgs 104/2022), il ministero del Lavoro ha reso un primo orientamento (circolare 19/2022), osservando come tale disposizione debba trovare applicazione quando un sistema automatizzato:

- sia finalizzato a mettere in atto un procedimento decisionale che sia in grado di condizionare lo svolgimento del rapporto di lavoro;

- incida sul rapporto di lavoro in termini di sorveglianza, valutazione della prestazione e adempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore.

È per effetto dell’articolo 1, comma 1, lettera s) del citato decreto che il datore di lavoro (o committente) che utilizzi questi sistemi è obbligato a dedurre nel contratto individuale di lavoro informazioni che riguardano gli scopi e le finalità di impiego di un sistema automatizzato, gli aspetti del rapporto di lavoro sui quali esso incide, la logica e i principi che presiedono al suo funzionamento e una serie di ulteriori e approfondite informazioni che riguardano la struttura del sistema stesso.

Da una lettura complessiva dell’articolo 1-bis del Dlgs 152/1997 emerge con chiara evidenza il dubbio che una mole così articolata di informazioni sia di fatto esorbitante rispetto alle finalità perseguite dalla legislazione comunitaria e domestica in materia di trasparenza e forse, almeno in parte, persino priva di effettiva significatività per il lavoratore.

Peraltro, tale obbligo informativo - che data l’intrinseca natura delle informazioni richieste è arduo possa essere adempiuto dal datore di lavoro in modo da restituire al lavoratore informazioni immediatamente comprensibili - è previsto debba essere assolto all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro e, in ogni caso, entro il settimo giorno dall’inizio della prestazione lavorativa, non rientrando nel novero d’informazioni che è possibile rendere entro il trentesimo giorno dall’inizio dell’attività di lavoro.

L’obbligo informativo deve essere assolto entro 30 giorni dalla formale richiesta presentata dal lavoratore in forza – o per il tramite delle rappresentanze sindacali aziendali o territoriali – per ottenere un’integrazione delle informazioni di cui questi sia già in possesso. Peraltro, il datore di lavoro è tenuto a trasmettere le informazioni rese al lavoratore anche alle rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria o, in assenza di queste, alle sedi territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La violazione di tale obbligo comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa in misura compresa tra 400 e 1.500 euro per ciascun mese in cui è accertata la violazione (articolo 19, comma 2 del Dlgs 276/2003).

Sebbene il tema richieda più approfondite considerazioni, l’orientamento espresso dal ministero sulla disposizione in esame supera l’interpretazione sostenuta dai più secondo la quale l’articolo 1-bis del Dlgs 152/1997 troverebbe applicazione con riferimento alle sole piattaforme digitali e circoscrive un ambito d’applicazione ben più ampio, precisando altresì che l’obbligo informativo «sussiste anche nel caso di intervento umano meramente accessorio». Alle incertezze che la circolare del ministero non dissipa ancora in modo convincente, si aggiunge il problematico contemperamento degli obblighi informativi con quanto disposto dall’ultimo comma della disposizione in commento, che esclude dall’ambito di applicazione dei più sopra indicati obblighi le informazioni di cui all’articolo 98 del Dlgs 30/2005. Si tratta dei segreti aziendali, vale a dire delle informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, che:

- siano segrete, nel senso che non risultino generalmente note o facilmente accessibili a esperti e operatori di settore;

- in quanto segrete, abbiano valore economico;

- siano soggette a misure ragionevolmente adeguate perché siano mantenute segrete.

Tale disposizione, che costituisce un indispensabile argine al novero (folto) d’informazioni che il datore di lavoro (o committente) che utilizzi un sistema decisionale o di monitoraggio automatizzati è tenuto a rendere al lavoratore (o collaboratore), presenta alcuni problemi sul piano applicativo, legati alla natura non titolata dei diritti esclusivi sui segreti aziendali. Di fatto, è posto in capo al datore di lavoro (o committente) l’ulteriore e delicato onere di stabilire se una determinata informazione costituisca un segreto aziendale. Infatti, ai fini dell’operatività dell’eccezione, l’accertamento della sussistenza dei requisiti per qualificare l’informazione come segreto commerciale in base all’articolo 98 del Dlgs 30/2005 - che in un’ottica di tutela è svolto dal giudice all’esito di un’articolata istruttoria e che in alcuni casi richiede anche una consulenza tecnica che accerti la natura segreta dell’informazione - dovrà essere effettuato ex ante dal datore di lavoro (o committente).

Ferme restando le difficoltà legate alla qualificazione di un’informazione come segreto commerciale, non sarà agevole stabilire se gli obblighi informativi posti in capo al datore di lavoro o al committente siano stati effettivamente adempiuti e se l’eventuale omissione di talune informazioni possa essere legittima alla luce della necessità di preservare un segreto aziendale. Peraltro, analoga difficoltà sarà certamente incontrata anche dagli organismi di vigilanza nell’ipotesi in cui fossero chiamati ad accertare l’effettiva violazione degli obblighi informativi stabiliti dall’articolo 1-bis del Dlgs 152/1997.

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