Contenzioso

Presidenza del Cda incompatibile con il rapporto di lavoro subordinato

di Marco Tesoro

Sussiste l'assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione. Questo il principio di diritto formulato dalla Corte di cassazione con la sentenza 36362 del 23 novembre 2021.

Il caso riguardava una società cooperativa e i suoi due soci nonché membri del consiglio di amministrazione. In particolare, l'agenzia delle Entrate contestava l'assenza del vincolo di subordinazione, in quanto uno dei soci era presidente del Cda – sicché, essendo munito della rappresentanza generale della società, non era ammessa la contemporanea presenza dell'attività di lavoro subordinato, poiché il potere di rappresentanza equivaleva al potere di controllo, con la conseguente incompatibilità delle due recuperava a tassazione gli importi corrisposti a titolo di retribuzione per cariche – e l'altro godeva di ampia autonomia decisionale. Sotto diverso profilo, a fondamento delle proprie pretese l'Agenzia rilevava altresì la mancanza del requisito della diversità tra le mansioni svolte in qualità di amministratori e le mansioni svolte in qualità di lavoratori dipendenti.

Investita della questione, la Corte in via di premessa dispone che «è del tutto compatibile la posizione di socio di società di capitali con quella di amministratore della stessa, tranne le ipotesi di amministratore unico, presidente del consiglio di amministrazione o di socio "sovrano" (Cass., sez. 5, 28 aprile 2021, n. 11161)». A tal proposito, va segnalato che l'ordinanza 11161/2021 non menziona il presidente del Cda tra le cariche di per sé incompatibili con la qualifica di lavoratore subordinato.

Successivamente, la Corte fornisce una lunga disamina dei principi giurisprudenziali consolidatisi negli anni sulla compatibilità tra la carica di amministratore e la qualità di lavoratore subordinato, di seguito sintetizzati:
- la qualità di amministratore è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato «ove sia accertato in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l'assoggettamento ad effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare»;
- la compatibilità sussiste anche in caso di socio maggioritario «allorché possa in concreto ravvisarsi il vincolo di subordinazione, almeno potenziale, tra il socio medesimo e l'organo societario preposto all'amministrazione, vincolo che in generale è da escludere unicamente nelle ipotesi di socio "amministratore unico", o di socio "unico azionista" o di "socio sovrano"»;
- il vincolo di subordinazione non è configurabile solo nel caso di amministratore unico «perché mancherebbe la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina, escluso dalla immedesimazione in unico soggetto della veste di esecutore della volontà sociale e di quella di unico organo competente ad esprimerla»;
- in tema di imposte sui redditi, il Tuir «non consente di dedurre dall'imponibile il compenso per il lavoro prestato e l'opera svolta dall'amministratore unico di società di capitali; la posizione di quest'ultimo è infatti equiparabile, sotto il profilo giuridico, a quella dell'imprenditore, non essendo individuabile, in relazione alla sua attività gestoria, la formazione di una volontà imprenditoriale distinta da quella della società, e non ricorrendo quindi l'assoggettamento all'altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione».

Salvo quanto rilevato in premessa, i principi suesposti sembrerebbero confermare che l'unica carica sociale di per sé incompatibile con la qualifica di lavoratore subordinato sia quella di amministratore unico (oltre alla qualifica di socio "unico azionista" e alla figura, comunque estranea al codice civile e di creazione dottrinale, di "socio sovrano"). Tale assunto sarebbe, peraltro, in linea con la posizione espressa in proposito dall'Inps, da ultimo con i messaggi 3359/2019 e 12441/2011.

Tuttavia, sul punto la Cassazione è di diverso avviso. Se per il socio amministratore la Corte rileva l'esigenza di un accertamento specifico sull'esistenza del vincolo di subordinazione, cassando la sentenza alla Commissione tributaria regionale della Sardegna in diversa composizione, in merito all'altro socio «poiché ricopriva l'incarico di presidente del consiglio di amministrazione della società, va del tutto esclusa, limitatamente alla sua posizione, la possibilità di svolgere un'attività di lavoro subordinato in favore della stessa società».

La Corte cristallizza la propria posizione formulando il seguente principio di diritto: «In tema di imposte sui redditi sussiste l'assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell'ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina rende impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni che è necessaria perché sia riscontrabile l'essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente».

A parere di chi scrive, la sentenza Non chiarisce il percorso logico-giuridico che ha portato la Corte a estendere l'incompatibilità anche alla carica di presidente del Cda. Le argomentazioni fornite relative al cumulo dei poteri, infatti, appaiono coerenti con riferimento alla carica di amministratore unico e non anche a quella di presidente del Cda di per sé considerata, salvo specifiche disposizioni previste dal relativo statuto o atto costitutivo da accertarsi volta per volta.

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