Contenzioso

Rassegna di Cassazione

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Sentenze penali di proscioglimento per prescrizione e licenziamento disciplinare
Licenziamento per superamento del periodo di comporto
Appalto e interposizione illecita di manodopera
Somministrazione a termine e decadenza dall'impugnativa
Mansioni superiori e accertamento trifasico

Sentenze penali di proscioglimento per prescrizione e licenziamento disciplinare

Cass. Sez. Lav., 21 luglio 2022, n. 22909

Pres. Manna; Rel. Marotta; P.M. Mucci; Ric. A.d.E.; Controric. V.I.

Giusta causa – Fatti di rilevanza penale – Rilevanza del giudizio penale – Sentenze definitive di condanna o assoluzione – Carattere vincolante – Altri tipi di sentenze penali – Sentenze penali di proscioglimento per prescrizione – Libero convincimento del giudice civile –Necessità

Il giudicato penale è vincolante nel giudizio civile in ordine all'accertamento dei fatti materiali solo ove si tratti di sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento, ma non nel caso di sentenza meramente dichiarativa della intervenuta prescrizione, dovendosi escludere in tale ultimo caso la possibilità di estensione analogica dell'art. 654 c.p.p., vuoi per il carattere eccezionale della norma (che deroga al principio generale dell'autonomia della giurisdizione del giudice civile rispetto a quella del giudice penale), vuoi perché non sempre la prescrizione importa accertamento della sussistenza del fatto materiale costituente reato, accertamento assorbito dall'obbligo di immediata declaratoria di una causa di estinzione del reato previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 1, che innanzi al giudice penale impedisce di proseguire oltre nella delibazione del materiale di causa.

NOTA

Nel caso di specie, un lavoratore adiva l'Autorità Giudiziaria al fine di sentir dichiarare l'illegittimità del licenziamento per giusta causa al medesimo irrogato in relazione al coinvolgimento in tre procedimenti penali. Il Tribunale, e, successivamente, la Corte d'Appello di Napoli dichiaravano l'illegittimità del licenziamento, rilevando, tra il resto, come le contestazioni che lo avevano preceduto erano del tutto generiche, sostanziandosi nel mero richiamo a procedimenti penali senza alcuna specificazione degli addebiti.Avverso la pronuncia di secondo grado il lavoratore proponeva ricorso per cassazione. La Suprema Corte, con sentenza n. 18589 del 2016, cassava la decisione impugnata, ritenendola errata nella parte in cui si poneva in contrasto con la giurisprudenza di legittimità in base alla quale è legittima la contestazione per relationem degli addebiti disciplinari mediante il semplice richiamo ad atti del procedimento penale instaurato a carico del lavoratore per fatti e comportamenti rilevanti anche nell'ambito del rapporto di lavoro nel caso in cui il lavoratore abbia avuto conoscenza del procedimento penale a suo carico, non essendo necessario un addebito secondo uno schema formale e rigido.Decidendo in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, il Giudice d'Appello confermava l'illegittimità del provvedimento di recesso, rilevando che, sulla base dei documenti a disposizione, non fosse raggiunta la prova dei fatti addebitati, anche perché le sentenze che avevano definito i procedimenti penali erano state tutte dichiarative della prescrizione, e, dunque, non avevano alcuna idoneità probatoria «essendosi il giudice penale limitato al solo aspetto processuale della vicenda senza compiere indagini di merito».Per l'annullamento di tale decisione, proponeva ricorso alla Suprema Corte la datrice di lavoro, lamentando, tra il resto, che il Giudice di secondo grado fosse caduto in errore per aver ignorato le risultanze delle sentenze penali di non doversi procedere, sull'erroneo convincimento che le stesse non assumono valore ai fini del raggiungimento della prova in ordine alla sussistenza dei fatti contestati.A fronte di suddetta censura, con la sentenza in commento la Corte di legittimità ha confermato la precedente decisione di merito, rigettando il ricorso. Precisamente, nel ritenere infondata l'impugnazione datoriale, la Suprema Corte ha fatto proprie le argomentazioni di alcuni precedenti giurisprudenziali in materia, statuendo come da massima e precisando che le sentenze penali di proscioglimento non determinano giudicato per il giudice civile. In particolare, le risultanze del processo penale definito con pronuncia di prescrizione possono essere utilizzate dal giudice civile che ha, in questo senso – non un obbligo, bensì – una mera facoltà.

Licenziamento per superamento del periodo di comporto

Cass. Sez. Lav., 28 luglio 2022, n. 23674

Pres. Manna; Rel. Tricomi; P.M. Mucci; Ric. G.M.G.; Contr. A.D.E.

Licenziamento individuale – Assenze per malattia – Superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro – Mancata scadenza – Violazione norma imperativa – Nullità – Sussistenza – Reintegrazione

Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2110, comma 2, cod. civ.

NOTA

La Corte d'Appello di L'Aquila, accogliendo l'appello principale proposto dal datore di lavoro, rigettava la domanda introduttiva del giudizio proposto dalla lavoratrice, volta all'accertamento della nullità del licenziamento intimatole per superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro. All'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Sulmona aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento in quanto, pur ritenendo corretto il computo delle assenze per malattia, aveva tuttavia ritenuto provato che la lavoratrice avesse chiesto di fruire di un periodo di ferie per evitare la perdita del posto di lavoro, richiesta rigettata dal datore di lavoro senza motivazione alcuna. La Corte d'Appello, invece, negava l'esistenza di alcuna volontà della lavoratrice di fruire di un periodo di ferie prima del superamento del periodo di comporto, mentre dichiarava assorbito il motivo di ricorso incidentale con cui la dipendente aveva dedotto che non era sufficiente che il periodo di comporto si fosse consumato, ma occorreva altresì che lo stesso fosse superato, ragione per cui il licenziamento intimato l'ultimo giorno del periodo di comporto era da considerarsi illegittimo.La lavoratrice propone ricorso per Cassazione, eccependo la violazione e falsa applicazione dell'art. 2110 cod. civ., per i medesimi motivi già oggetto dell'appello incidentale.La Suprema Corte ritiene il motivo fondato.È pacifico tra le parti, afferma la Corte, che l'ultimo giorno del periodo di conservazione del posto di lavoro fosse il 22 marzo 2016 e che il licenziamento fosse stato irrogato il 22 marzo 2016 stesso, con decorrenza dal giorno successivo.Sul punto trova applicazione il principio affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 12568 del 2018, che ha dato continuità alla giurisprudenza di legittimità che considera nullo il licenziamento intimato per il protrarsi delle assenze per malattia, ma prima che il periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva sia scaduto (in tal senso, Cass. 24525/2014, Cass. 1404/2012, Cass. 12031/1999, Cass. 9869/1991). Peraltro, nella citata sentenza, le Sezioni Unite avevano altresì chiarito che il carattere imperativo del disposto dell'art. 2110 cod. civ., in combinata lettura con l'art. 1418 cod. civ., non consente soluzioni diverse ed all'affermazione di nullità del licenziamento non osta neppure il fatto che l'art. 18, L. 300/1970, abbia collocato la violazione di tale norma nel comma 7 anziché nel comma 1, riservato agli altri casi di nullità previsti dalla legge, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata (che prevede il pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegrazione, con un massimo di 12 mensilità, soggette a contribuzione) anziché di quella piena (con pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegrazione, con un minimo di 5 mensilità, soggette a contribuzione, e senza limite massimo).

Appalto e interposizione illecita di manodopera

Cass. Sez. Lav. 25 luglio 2022, n. 23215

Pres. Raimondi; Rel. Ponterio; P.M. Fresa; Ric. F.I.; Controric B.N.D.L.S.P.A.;

Lavoro subordinato – Appalto – Interposizione illecita di manodopera – Fattispecie: appalto di servizi di assistenza informatica – Necessario coordinamento per l'erogazione del servizio – Assenza di ingerenze del committente – Genuinità dell'appalto

Si configura intermediazione illecita ogni qual volta l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo eventualmente in capo a lui, datore di lavoro, i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo.

NOTA

Nel caso di specie la lavoratrice aveva richiesto, al Tribunale prima e alla Corte d'Appello poi, la costituzione di un rapporto di lavoro con la Banca convenuta, sostenendo di essere sempre stata – nei fatti – dipendente della stessa anche se formalmente impiegata presso società informatica che erogava, in favore della Banca medesima, servizi di help desk IT sulla base di appositi contratti d'appalto (più precisamente, nell'ambito di tali contratti d'appalto la società datrice di lavoro della lavoratrice rivestiva il ruolo di subappaltatrice della società che aveva pattuito con la Banca l'appalto).Secondo la lavoratrice, infatti, la sua attività era da sempre stata prestata in ambienti condivisi con i dipendenti della Banca e mediante strumenti da questa forniti; le venivano impartite direttive e indicazioni sul servizio da svolgere e sull'orario di lavoro dai preposti della Banca, mentre la società formale datrice di lavoro provvedeva esclusivamente agli incombenti amministrativi.Tanto il Tribunale quanto la Corte d'Appello respingevano le richieste della lavoratrice – escludendo che si fosse verificata una interposizione illecita di manodopera – rilevando che la società datrice di lavoro era effettivamente attiva nel settore IT, con propria autonomia organizzativa e produttiva, e che la stessa apportava, nell'ambito dei servizi erogati in esecuzione dell'appalto di cui sopra, know how specifici e comunque «un autonomo valore aggiunto immateriale rispetto al patrimonio aziendale della committente». In aggiunta, le corti di merito rilevavano che la prestazione in questione era svolta secondo procedure predeterminate e non poteva non essere svolta nei locali della Banca; che la commistione con i dipendenti della stessa fosse espressione del necessario raccordo tra committente e appaltatore; che la previsione contrattuale di livelli di servizio specifici e di penali evidenziasse l'esistenza di un rischio di impresa in capo all'appaltatore (e al subappaltatore, essendo le medesime previsioni incluse anche nel contratto di subappalto) e che le modalità di erogazione dei corrispettivi dell'appalto dovevano ritenersi lecite sia in caso di compenso forfettario sia in caso di commisurazione al costo giornaliero delle singole risorse umane impiegate.Contro la decisione della Corte d'Appello ricorreva in Cassazione la lavoratrice lamentando che la Corte avesse errato nel ritenere insussistente la somministrazione illecita di manodopera. Ciò, ad esempio, in quanto la commisurazione del corrispettivo a giornata/uomo impedirebbe l'assunzione del rischio economico in capo all'appaltatore e anche in considerazione del fatto che i richiesti livelli di servizio e le penali contrattualmente previste nulla avevano a che vedere con l'esistenza di tale rischio economico. Al contrario, sempre secondo la lavoratrice, vari elementi deponevano per la somministrazione illecita, come la presenza di obblighi di orario e di rispetto di procedure standardizzate o la gestione di ferie e permessi. La Suprema Corte ha dichiarato la doglianza infondata e rigettato il ricorso. La Cassazione ha confermato un costante orientamento in tema di appalto secondo cui, affinché lo stesso sia legittimo, deve essere l'appaltatore stesso ad organizzare il processo produttivo con impiego di manodopera propria, esercitando nei confronti dei lavoratori un potere direttivo in senso effettivo e non meramente formale. Conseguentemente si ha interposizione illecita di manodopera ogniqualvolta l'appaltatore metta semplicemente a disposizione del committente una prestazione lavorativa, senza organizzazione della stessa ma con mera gestione amministrativa.Correttamente dunque, conclude la Cassazione, la Corte d'Appello ha rigettato le richieste della lavoratrice facendo applicazione di tale principio e ponendo l'accento su alcuni elementi di fatto quali: l'esclusione di ingerenze del committente rispetto all'attività dei dipendenti delle società informatiche, sia dal punto di vista organizzativo e produttivo e sia riguardo all'esercizio del potere conformativo e disciplinare; il fatto che il coordinamento dei dipendenti delle società, appaltatrice e subappaltatrice, con i dipendenti della Banca, era necessario ai fini della fornitura del servizio di assistenza specialistica in materia informatica da compiere non solo nei locali dell'azienda committente, ma anche nei tempi di lavoro di quest'ultima, quale fruitrice del servizio; l'esistenza di un rischio di impresa in capo alle appaltatrici, peraltro corroborato dalla previsione nelle clausole contrattuali di specifici "livelli di servizio" e conseguenti "penali" e non eliminabile dalla sola previsione di un compenso commisurato alle giornate e lavoratori necessari per l'erogazione del servizio.

Somministrazione a termine e decadenza dall'impugnativa

Cass., sez. lav., 21 luglio 2022, n. 22861

Pres. Raimondi; Rel. Piccone; P.M. Sanlorenzo; Ric. A.S.; Contr. O. S.r.l.

Somministrazione a termine – Fattispecie: 10 missioni e circa 1600 giorni presso lo stesso utilizzatore in otto anni – Sequenza reiterata di missioni – Uso in frode alla legge – Decadenza – Irrilevanza

La decadenza maturata ai sensi dell'art. 32, comma 4, lett. d), della legge n. 183 del 2010, dall'azione di costituzione o accertamento di un rapporto di lavoro in capo all'utilizzatore, non osta ad affrontare l'ulteriore questione dell'eventuale elusione del combinato disposto della normativa interna e sovranazionale da cui si evince, alla luce dei più recenti arresti della Corte di giustizia, il carattere "strutturalmente" temporaneo del ricorso alla somministrazione pur nell'assenza dei limiti legislativamente previsti.

NOTA

La Corte di Appello di Brescia confermava la sentenza del Giudice di primo grado con la quale era stata rigettata la domanda di un lavoratore finalizzata ad ottenere l'accertamento della nullità dei plurimi contratti di somministrazione a tempo determinato conclusi nel periodo compreso fra il 4 febbraio 2008 e il 7 gennaio 2016 e della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società utilizzatrice, con condanna di quest'ultima al risarcimento del danno, quantificato con riguardo alla retribuzione globale di fatto percepita in costanza di rapporto dal lavoratore.La Corte territoriale, escludendo che «il termine di decadenza dall'impugnativa dei singoli contratti temporanei potesse essere sospeso in caso di successione degli stessi, anche nell'ipotesi in cui la stipulazione del singolo contratto fosse avvenuta prima del decorso del termine per impugnare il medesimo in via stragiudiziale», condivideva l'iter argomentativo del Giudice di prime cure e riteneva «legittimo l'ultimo contratto di somministrazione, concluso sotto il vigore del d.lgs. n. 81 del 2015, che non richiede l'indicazione di causali giustificative, né prevede limiti di durata … e ha rilevato, tuttavia, come i contratti conclusi sotto il vigore del d.lgs. n. 81 non violassero le limitazioni più significative esistenti prima del 2015 (essi avevano durata inferiore a un anno) e come i precedenti contratti (dalla cui impugnativa il lavoratore era peraltro decaduto) fossero stati conclusi quando erano ancora in vigore le misure volte ad impedire l'abuso della somministrazione a termine e nel rispetto delle stesse».Il lavoratore impugnava, quindi, la sentenza di secondo grado.La Suprema Corte chiarisce che «l'art. 32, comma 4, lett. d), della legge n. 183 del 2010, si porrebbe in contrasto con la Direttiva 2008/104/Ce laddove venisse interpretato nel senso di precludere al giudice nazionale di prendere in considerazione il rapporto di lavoro somministrato per il quale è maturata la decadenza al diverso fine di verificare se anche detta messa a disposizione per l'utilizzatore si inserisca in una sequenza reiterata di missioni che oltrepassi il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea», in quanto «qualora tale verifica non venga effettuata e ci si arresti a considerare l'intervenuta decadenza dall'impugnativa dei singoli contratti di somministrazione considerati, si potrebbe legittimare il ricorso ad una successione di contratti di somministrazione a tempo determinato senza alcuna soluzione di continuità e senza alcun limite temporale».Pertanto è rilevante per il giudice di merito «verificare il numero di contratti succedutisi ed il tempo complessivamente trascorso, potendo inserirsi l'utilizzazione del medesimo lavoratore mediante agenzia interinale entro un quadro complessivo di durata di utilizzo del lavoratore tramite somministrazione superiore a quello ammissibile alla luce di una interpretazione della normativa nazionale che possa definirsi conforme al diritto dell'Unione europea».La Corte di Cassazione, dunque, ritiene che la pronuncia gravata non sia conforme al principio di diritto espresso in massima e, conseguentemente, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Milano.

Mansioni superiori e accertamento trifasico

Cass. Sez. Lav., 22 luglio 2022, n. 22964

Pres. Doronzo; Rel. Piccone; Ric. S.S. S.r.l.; Controric. D.T.G.

Mansioni superiori – Accertamento trifasico – Accertamento di fatto delle attività – Individuazione qualifiche CCNL – Confronto delle due indagini – Necessità

Il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell'accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini.

NOTA

La Corte di Appello di Bari, nel rigettare il ricorso promosso dalla Società, confermava la statuizione resa dal giudice di prime cure in ordine al diritto del dipendente ad essere inquadrato nel profilo professionale superiore rivendicato (e cioè a dire quello di "Polizia Amministrativa – Parametro 140" del CCNL di riferimento).In particolare, secondo la Corte distrettuale, il lavoratore aveva di fatto svolto attività aggiuntive rispetto a quelle dell'inquadramento di provenienza, perfettamente aderenti alla declaratoria negoziale rivendicata, non limitandosi alla guida dei mezzi aziendali, ma occupandosi anche della verifica dei relativi titoli e dell'applicazione delle conseguenti sanzioni amministrative.Avverso la decisione resa dalla Corte di merito ha promosso ricorso in cassazione la Società lamentando la violazione dell'art. 2103 c.c. e l'erronea riconduzione delle attività svolte dalla parte lavoratrice nell'alveo della declaratoria dedotta.Tuttavia, nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto corretta l'applicazione della norma censurata e del relativo schema trifasico ad essa sotteso, ribadendo come: «il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell'accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©