Contenzioso

Debiti fiscali dello studio non compensabili con crediti degli associati

di Salvatore Servidio

Il giudizio oggetto dell'ordinanza 30 maggio 2018, numero 13638 della Corte di cassazione trae abbrivio dall'impugnazione di una cartella di pagamento ricevuta da uno studio associato di professionisti, a seguito controllo automatizzato della dichiarazione secondo l’articolo 36-bis del Dpr 29 settembre 1973, numero 600, per carichi di imposta anno 2004 concernenti, segnatamente, omesso versamento di ritenute alla fonte nonché omesso versamento di Irap e Iva.

La commissione tributaria regionale, in riforma della sentenza di prime cure, ha ritenuto legittimo l'utilizzo in compensazione, in base all'articolo 17 del Dlgs 9 luglio 1997, numero 241, da parte del contribuente, di crediti d'imposta derivanti da ritenute d'acconto sui compensi corrisposti dai clienti con i debiti dell'associazione.

Entrambe le parti in causa hanno avuto motivo di adire la Cassazione. In particolare, nel proprio ricorso, qui di interesse, l'agenzia delle Entrate deduceva che, nel caso specifico, la Commissione tributaria regionale non avesse considerato la circostanza che:
- le ritenute complessivamente subite dall'associazione erano pari a 148.808,26 euro;
- l'importo dichiarato ed effettivamente utilizzato a scomputo dai singoli associati era pari a 76.777 euro, con conseguente eccedenza di ritenute subite ma non utilizzate pari a 72.031,26 euro;
- l'ammontare delle ritenute compensate dall'associazione nel modello F24 era pari a 92.952,31.

Ne risultava, secondo l’Amministrazione, un'indebita compensazione, sia sotto il profilo quantitativo (per 20.921,05 euro), sia sotto il profilo soggettivo, posto che, a norma dell'articolo 22, primo comma, del Dpr 22 dicembre 1986, numero 917, gli unici soggetti legittimati allo scomputo delle ritenute sono esclusivamente i singoli soci o associati; né, secondo l'Ufficio, poteva essere fatta valere l'interpretazione estensiva fornita dall'amministrazione finanziaria con la circolare 23 dicembre 2009, numero 56/E, la quale ammette lo scomputo, da parte dell'ente collettivo, delle ritenute subite soltanto nella porzione eccedente quella utilizzata dai singoli soci o associati ad azzeramento del proprio debito Irpef.

Nel deciere la controversia, con l'ordinanza 13638/2018, la sezione tributaria accoglie il ricorso erariale in relazione al motivo con cui è stata lamentata violazione di legge per avere la commissione regionale ritenuto legittimo, secondo l’articolo 17 del Dlgs 241/1997, il parziale utilizzo, da parte della contribuente, di crediti d'imposta (rinvenienti da ritenute d'acconto sui compensi corrisposti dai clienti) mediante loro compensazione con debiti d'imposta e previdenziali dell'associazione medesima.

Ed afferma il principio che deve ritenersi illegittima la compensazione fiscale effettuata dall'associazione professionale di propri debiti tributari e previdenziali con i crediti d'imposta degli associati rivenienti da ritenute d'acconto sui compensi corrisposti dai clienti dovendosi ritenere che il presupposto sia la spettanza del credito in capo allo stesso contribuente e non di altri soggetti d'imposta.

Nel merito si sottolinea che l'Amministrazione ha dedotto che, sulla scorta della circolare 56/E/2009, l'associazione professionale era ammessa a evocare a sé le ritenute subite solo nella porzione eccedente quella utilizzata dai singoli associati sui propri redditi, e sempre che costoro avessero prestato il loro assenso preventivo (nella specie mancante).

La Suprema corte rileva come la corretta decisione del caso dipenda dalla risoluzione di una questione diversa da quella considerata dal giudice del gravame, ossia dalla necessità di individuare i limiti soggettivi di operatività della compensazione in base all’articolo 17 del Dlgs 241/1997 (secondo cui la compensazione può avvenire soltanto per i crediti sorti nello stesso periodo nei confronti dei medesimi soggetti), in rapporto alla regola generale desumibile dall'ultima parte dell'articolo 22 del Tuir (già articolo 19), in base al quale «le ritenute operate sui redditi delle società, associazioni e imprese indicate nell'articolo 5 si scomputano, nella porzione ivi stabilita, dalle imposte dovute dai singoli soci, associati o partecipanti».

In sostanza, la facoltà di compensazione ammessa dall'articolo 17 del Dlgs 241/1997 presuppone, sul piano oggettivo, la riferibilità dei crediti opposti in compensazione allo stesso periodo di maturazione del debito, nonché, sul piano soggettivo, la riferibilità allo stesso contribuente (indipendentemente dall'identità dell'ente percettore).

A supporto, la giurisprudenza di legittimità (si veda Cassazione 16964/2012), ha stabilito che l'articolo 17 del Dlgs 241/1997, nell'ammettere la compensazione, in sede di versamenti unitari delle imposte, ne ha limitato l'applicazione alle ipotesi di crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti. Inoltre, si è esclusa la compensabilità da parte dello studio professionale del credito per ritenuta maturato in capo al singolo associato nel presupposto che, ai fini della compensazione, il credito spetti allo stesso contribuente e non a soggetti di imposta diversi (Cassazione 20 gennaio 2017, numero 1538).

Ma nel caso di specie la situazione è completamente diversa da quella prospettata dalla circolare 56/E/2009: in questo contesto, infatti, si legge nella motivazione dell'ordinanza, l'associazione professionale non rivendicava il diritto di compensare, previa avocazione a sé, dei crediti da ritenuta alla fonte (eventualmente) residuati dopo lo scomputo da parte di costoro, bensì il diritto a far valere (parte) dell'ammontare delle ritenute da essa subite nella liquidazione dei compensi a carico della clientela, e non distribuite agli associati.
La compensazione così operata dall'associazione è avvenuta al di fuori dei presupposti di legge, "scontando" direttamente i crediti spettanti agli associati a decurtazione di debiti propri verso l'amministrazione finanziaria.

E ciò indipendentemente dal fatto che si trattasse di compensazione "orizzontale" (che dà la facoltà di compensare debiti e crediti nei confronti anche di diversi enti impositori: Stato, Inps, Inail, Enpals), che è pertanto legittima quanto quella "verticale" (che consente di portare in diminuzione un debito relativo a una determinata imposta con un credito relativo alla stessa imposta: ad esempio, acconto Irpef compensato con saldo Irpef a credito, oppure liquidazione periodica Iva a debito compensata con un'altra liquidazione a credito oppure ancora acconto Ires con saldo Ires a credito), dal momento che l'impedimento alla compensazione non operava, nella specie, sul piano oggettivo della tipologia del credito erariale estinto, ma unicamente su quello della riferibilità soggettiva delle diverse poste.

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