Contenzioso

Alle sezioni unite la partecipazione agli utili dell’impresa familiare del convivente more uxorio

Da chiarire l’applicabilità dell’articolo 230-bis, terzo comma, del Codice civile

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di Valeria Zeppilli

Al convivente more uxorio, se la convivenza di fatto è dotata di una certa stabilità, può applicarsi la disciplina del terzo comma dell'articolo 230-bis del Codice civile in materia di impresa familiare? Se lo è domandato nei giorni scorsi la sezione lavoro della Corte di cassazione (ordinanza interlocutoria 2121/2023), chiedendo al primo presidente l'interessamento sul punto delle sezioni unite.

Alla base del dubbio vi è l'evoluzione dei costumi, della giurisprudenza costituzionale e della legislazione nazionale in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso, che potrebbero legittimare un'esegesi orientata sia agli articoli 2, 3, 4 e 35 della Costituzione che all'articolo 8 della Cedu.Da quando è stata introdotta la disposizione contenuta nell'articolo 230-bis, infatti, la platea dei soggetti da considerare familiari è stata estesa sia normativamente o per effetto degli interventi della Consulta, sia nel costume sociale, ove la convivenza more uxorio riscontra una notevole applicazione.

Ciò posto, non può non considerarsi che, anche in forza di quanto previsto dall'articolo 12 delle preleggi, l'interprete ha il compito di andare oltre il senso letterale delle parole e di indagare l'intenzione del legislatore sulla base dei criteri di interpretazione storica, logico-sistematica e teleologica. Pur partendo dalla lettera della legge, occorre insomma verificare se una certa norma, nel corso degli anni e sulla base dell'evoluzione dei costumi e delle condizioni di vita, abbia eventualmente assunto un significato ulteriore e diverso rispetto a quello originariamente assegnatogli nel contesto sociale che l'ha occasionata.

Con specifico riferimento al lavoro all'interno dell'impresa familiare, per la sezione lavoro della Corte di cassazione non si tratta di porre il coniugio e la convivenza more uxorio sullo stesso piano, ma di garantire una tutela minima e inderogabile a dei membri della comunità familiare che lavorano pacificamente nell'impresa del convivente, a volte anche per molti anni.In proposito, tra i vari aspetti sottolineati nella recente ordinanza interlocutoria, occorre ricordare che già le sezioni unite penali – con la sentenza 10381/2021, seppur ovviamente in un diverso contesto – hanno sottolineato che la vita dei conviventi di fatto va ricondotta alla concezione di vita familiare che la Cedu ha da tempo elaborato interpretando l'articolo 8 della Convenzione.

Chiaramente, in linea generale occorre attendere un intervento legislativo che faccia chiarezza sul punto, ma per la sezione lavoro della Corte di cassazione, nelle more di un simile intervento è importante comprendere se possa essere tutelato in via interpretativa anche il fondamentale diritto del lavoro del convivente more uxorio che per molti anni ha prestato la propria opera nell'impresa del convivente poi deceduto. Come rilevato dai giudici, infatti, «l'esclusione del solo – o della sola, come più frequentemente si verifica … - convivente more uxorio dalla applicazione dell'art. 230-bis c.c. appare non corrispondere alla "inclusiva" ratio dell'istituto rapportata alle mutate condizioni di vita». Parola alle sezioni unite.

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