Il CommentoContenzioso

Bando di assunzione: offerta al pubblico o invito a contrarre?

di Federico Manfredi

In anteprima da Guida al Lavoro n. 4 del 27 gennaio 2023

La Cassazione con due sentenze "gemelle" - seppur nell'ambito di una società a partecipazione pubblica - ha ritenuto che la pubblicazione di un bando di assunzione da parte del datore di lavoro contenente non solo gli elementi essenziali del contratto di lavoro, ma anche le modalità di selezione dei candidati, rappresenti una lex specialis della procedura di assunzione e comunque un'offerta al pubblico ex art. 1336 cod. civ., vincolanti per l'assunzione nei confronti del proponente

Nel diritto comune vale la regola generale per cui chiunque è legittimato ad adempiere l'obbligazione altrui, anche contro la volontà del creditore. Del pari nemmeno l'opposizione manifestata dal debitore può da sola vincolare le altre parti a non profittare dell'adempimento altrui.
Tale considerazione vale naturalmente per le obbligazioni che concernono prestazioni fungibili. Ossia prestazioni per le quali è indifferente la natura o la qualità dell'opera o del bene in ragione della sua genericità od uniformità: commodities in breve.
Restano eccettuati da tale regola quelle prestazioni che il diritto riporta all'intuitu personae. Trattasi di quelle obbligazioni infungibili per cui il creditore ha interesse che il debitore esegua personalmente gli obblighi assunti, stante il carattere essenziale che le qualità/abilità del debitore hanno nell'economia del contratto. Sicché se fosse qualcun altro ad adempiere cadrebbe l'interesse stesso del creditore nell'adempimento e di conseguenza nella sopravvivenza del vincolo negoziale.
La distinzione fra contratti caratterizzati dall'intuitu personae e non assume rilievo anche per ciò che concerne il momento formativo del vincolo obbligatorio, potendo quest'ultimi concludersi per offerta al pubblico a differenza dei primi che non possono ritenersi conclusi per tale via. La ratio è evidente: essendo essenziali per la parte contraente le qualità personali dell'oblato è impossibile che la trattativa fra le parti si esaurisca con la mera adesione del singolo all'offerta ad un pubblico indistinto. Al contrario detta adesione manifesta il consenso a contrattare con il proponente.
I principi di diritto comune appena annotati assumono particolare rilievo nelle pronunce che si commentano della Cassazione 3 gennaio 2023, nn. 79 e 82, le quali hanno ritenuto che la pubblicazione di un bando di assunzione da parte del datore di lavoro contenente non solo gli elementi essenziali del contratto di lavoro, ma anche le modalità di selezione dei candidati, rappresenti una lex specialis della procedura di assunzione e comunque un'offerta al pubblico ex art. 1336 cod. civ., vincolanti per l'assunzione nei confronti del proponente.

I fatti di causa
Il caso giunto al vaglio della Cassazione concerne una procedura di selezione per l'assunzione di 325 operatori ecologici da parte di una società a partecipazione pubblica.
La procedura di assunzione prevedeva già nel bando, un corso di formazione finalizzato alla somministrazione di un test utile alla formazion della graduatoria di assunzione. Tuttavia i soggetti con i punteggi più elevati prima di procedersi all'assunzione sono stati sottoposti ad un ulteriore test di carattere non tecnico, bensì motivazionale.
Tale passaggio valutativo non era previsto dall'avviso di comunicazione della procedura avviata sicchè il ricorrente, classificatosi utilmente nella graduatoria dei 325, non avendo superato il test motivazionale, ha proceduto nei confronti di della società al fine di lamentare l'illegittimità dell'ultima prova attitudinale. Più nel dettaglio, veniva denunciato che la prova in questione non prevista nel bando di selezione originario e pertanto ritenuta in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ.
Il ricorrente, previa dichiarazione da parte del Giudice del proprio diritto all'assunzione presso la società convenuta, chiedeva la costituzione ope judicis ex art. 2932 cod. civ. di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con mansione di operatore ecologico.
In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d'Appello ha accolto la domanda del ricorrente, dichiarando tuttavia legittimo l'ulteriore test motivazionale, riconoscendo ad esso una funzione necessariamente complementare e integrativa di quanto previsto dall'avviso di selezione e pertanto costituendo, insieme a quest'ultimo, il corpo della lex specialis, ma riconoscendo illogici (fondati su base arbitrarie in quanto sganciate da parametri certi e in violazione delle regole di correttezza, trasparenza e buona fede) i criteri di selezione adottati dalla Commissione esaminatrice in sede di valutazione del test motivazionale e ritenuto che gli stessi avessero inficiato la validità dei giudizi espressi.
La società ha proposto ricorso in Cassazione avverso tale sentenza.

L'indecisione della decisione in esame
La Cassazione (sez. lav., 3 gennaio 2023, n. 79 e n. 82) si pronuncia favorevolmente al ricorso incidentale presentato dal lavoratore, supportando e confermando la posizione espressa dalla Corte d'Appello di ritenere nulli i risultati del test motivazionale al quale erano stati sottoposti i lavoratori.
Ciò in cui diverge però la posizione della Cassazione dalla posizione della Corte d'Appello è la motivazione che regge la decisione di questa: se la Corte d'Appello aveva ritenuto illogici i criteri adottati per una procedura tuttavia ritenuta lecita, la Corte di Cassazione va oltre, con una pronuncia che, pur mantenendo i medesimi effetti, contrasta di fatto in tutto quanto statuito dalla Corte d'Appello.
Dopo un excursus utile a ricondurre il caso al vaglio della Corte alla disciplina pubblicistica, con riferimento al valore da attribuire al bando indetto, la Corte è tranchant nel ritenere che la società "si era vincolata al rispetto del bando che costituisce lex specialis della procedura medesima e le cui prescrizioni, configurando comunque un'offerta al pubblico ai sensi dell'art. 1336 cod. civ., con l'intervenuta accettazione erano, dunque, intangibili, e non potevano essere modificate o integrate successivamente".
La Suprema Corte in realtà non ha condotto un'analisi innovativa o rivoluzionaria della questione, né tantomeno seguito alcun processo creativo al termine del quale risulta essere giunta ad una conclusione propria. La stessa Corte, infatti, afferma che: "nel merito si richiamano anche ai fini dell'art. 118 disp. Att. cod. proc. civ., le motivazioni già adottate da questa Corte in relazione a fattispecie analoghe atteso che il ricorso in esame non offre argomenti in grado di condurre ad una differente soluzione giuridica.
Ebbene, posto che la Corte ha sì fatto un lavoro di ricostruzione degli elementi necessari per giungere alla conclusione nel merito della vicenda, non è chiaro se per compierla si sia ispirata a profili esclusivamente civilistici, stante la natura dei rapporti che sarebbero discesi da tale bando, o amministrativistici, che l'hanno portata a trattare il contenuto di tale bando come lex specialis, istituto tipico appunto del diritto amministrativo.
Volendo compiere un'analisi più approfondita, è necessario partire da un'indagine circa la natura giuridica del bando di gara, che non risulta affatto univoca, ma piuttosto controversa. È necessario seguire due diverse direttive: secondo la concezione privatistico – negoziale, infatti, il bando si configurerebbe come un'offerta al pubblico oppure come un invito ad offrire (stante l'assenza di qualsivoglia indicazione di prezzo, l'unica certezza è che viene esclusa la natura di proposta contrattuale), riconducendo all'una e all'altra ipotesi conseguenze molto diverse in relazione alla possibilità di integrazione del bando, nonché al rapporto intercorrente tra il bando stesso e l'aggiudicazione.
Secondo la concezione pubblicistica, invece, il bando è un tipico atto amministrativo, volto a dare inizio e a regolare la fase procedimentale diretta alla stipula di un contratto. Nell'ambito della c.d. concezione pubblicistica si contrappongono, peraltro, due opposti indirizzi giurisprudenziali. Per il primo, il bando è assimilabile ad un atto amministrativo; per il secondo, invece, ad esso va riconosciuta la particolare qualificazione di atto normativo.

La tesi pubblicistica
La Suprema Corte, si ribadisce, nel caso di specie, definisce il bando lex specialis, e da questa definizione è necessario partire: secondo questa impostazione, il bando si configura come lex specialis della procedura ad evidenza pubblica.
L'impostazione che qualifica il bando come lex specialis, fatta propria dalla giurisprudenza maggioritaria, ha un'importante implicazione: le prescrizioni del bando di gara, infatti, non vincolano solo i concorrenti, ma anche l'Amministrazione, la quale non dispone, quindi, di margini di discrezionalità nella loro concreta attuazione. Sullo stesso tema, un necessario excursus normativo porta a individuare il bando di gara ai sensi dell'articolo 64 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. Codice dei contratti pubblici) come l'atto di attuazione della delibera a contrarre della pubblica amministrazione.
Esso disciplina la procedura negoziale anche attraverso il richiamo ai capitolati generali, che disciplinano l'iter della procedura, e ai capitolati speciali che disciplinano aspetti del contenuto del futuro contratto. Inoltre, esso indica il sistema di scelta del contraente, i requisiti oggettivi e soggettivi di partecipazione alla gara, le modalità di presentazione delle offerte, il sistema di aggiudicazione, nonché il sistema di esclusione delle offerte anomale.
Sembra ormai pacifico, per giurisprudenza costante, che "l'amministrazione è legittimata ad introdurre, nella lex specialis della gara d'appalto che intende indire, disposizioni atte a limitare la platea dei concorrenti onde consentire la partecipazione alla gara stessa di soggetti particolarmente qualificati, specie per ciò che attiene al possesso di requisiti di capacità tecnica e finanziaria, tutte le volte in cui tale scelta non sia eccessivamente quanto irragionevolmente limitativa della concorrenza, specie se destinata a predeterminare, in linea di fatto, il ventaglio dei possibili partecipanti. Invero, nel bando di gara, l'amministrazione appaltante può autolimitare il proprio potere discrezionale di apprezzamento mediante apposite clausole, rientrando nella sua discrezionalità la fissazione di requisiti di partecipazione ad una gara d'appalto diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, salvo il limite della logicità e ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2008, n. 3655).
In tale prospettiva è stato affermato che "nelle procedure per l'affidamento di appalti pubblici, la portata vincolante delle prescrizioni contenute nel regolamento di gara esige che alle stesse sia data puntuale esecuzione nel corso della procedura, senza che in capo all'organo amministrativo cui compete l'attuazione delle regole stabilite nel bando residui alcun margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento; pertanto, qualora il bando commini espressamente l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, la p.a. è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione, anche nel caso che con tale "lex specialis" la p.a. si sia illegittimamente autovincolata, mediante esplicito rinvio ad una fonte normativa (erroneamente richiamata), attesa la sua non disapplicabilità" (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 gennaio 2005, n. 43).
Gravi chiaramente sono le conseguenze da ricondurre a una siffatta ipotesi nel momento in cui si parla soprattutto di posti di lavoro in quanto sembrerebbe naturale conseguenza che le prescrizioni del bando di gara non possano essere disapplicate dalla PA, ancorché ritenute genericamente "inopportune"; esse, infatti, "costituiscono la lex specialis della gara stessa, la quale vincola non solo i concorrenti ma anche la stessa amministrazione, la quale non dispone di alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione né può disapplicarle neppure nel caso in cui talune di esse risultino inopportune, salva la possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, all'annullamento d'ufficio del bando" (Cons. Stato, Sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 263).
A conferma della non disapplicabilità, per il caso in cui il bando predisposto dalla stazione appaltante richiami disposizioni normative che erano state abrogate al momento della sua emanazione, è stato affermato che "è illegittimo il provvedimento con il quale la stazione appaltante, in sede di verifica dell'anomalia delle offerte, abbia applicato i nuovi criteri contenuti nel Codice dei contratti pubblici, disattendendo l'applicazione della normativa già abrogata prima dell'indizione della gara, ed erroneamente richiamata nel bando. Una volta ravvisata l'illegittimità, la stazione appaltante avrebbe dovuto disporre l'annullamento della procedura ed, eventualmente, l'indizione di una nuova gara nel rispetto della normativa vigente" (Tar Lazio, Sez. II ter, 29 gennaio 2007, n. 616).
Quanto agli effetti dello jus superveniens, l'applicazione del principio di immodificabilità del bando, discendente dal suo inquadramento come lex specialis di gara, implica che, una volta adottato, il bando di gara continui a regolare le fasi della procedura anche se medio tempore è sopravvenuta una difforme normativa. Da oltre, se si considera il bando come lex specialis di gara, infatti, deve, ad esempio, tendenzialmente escludersi la possibilità di integrazione negoziale del bando: va, infatti, rilevato che gli atti autoritativi non sono suscettibili di integrazioni ad opera dell'autonomia privata.
Seguendo questa impostazione, infatti, a nessuna diversa conclusione sarebbe potuta giungere al Corte di Cassazione se non quella di ritenere inefficacemente apposto qualunque successivo elemento necessario per conseguire l'obiettivo di cui al bando di gara da parte della società resistente.
Vi è di più se si procede poi all'analisi dell'aggiudicazione (realizzazione dell'obiettivo del bando).
Considerando il bando di gara come lex specialis (o, comunque, come atto amministrativo generale) l'aggiudicazione della gara si risulta essere un provvedimento amministrativo che definisce la procedura ad evidenza pubblica, con cui la PA individua, in via autoritativa, l'altro contraente (i lavoratori in questo caso, entrambi quindi parte del contratto di lavoro).
Fanno certamente propendere per l'applicazione dell'ipotesi pubblicistica anche altri elementi più volte ribaditi, tanto nei ricorsi predisposti dalle parti, quanto nel disposto della Suprema Corte: il legittimo affidamento e il contenimento della spesa pubblica.
Elaborato dalla giurisprudenza e dalla dottrina, il ‘legittimo affidamento' costituisce un principio cardine dell'azione amministrativa: con tale locuzione, ci si riferisce all'interesse del privato alla tutela di una situazione che si è definita nella realtà giuridica per effetto di atti e comportamenti della Pubblica Amministrazione.
È chiaro che il legittimo affidamento, così come i principi di correttezza e buona fede permeano tutto l'ordinamento italiano (e comunitario), non potendolo di certo rilegare ad un unico ambito quale quello della Pubblica Amministrazione. Ma formulato in tali termini pare necessario il collegamento evocato a favore della disciplina pubblicistica.
La tutela dell'affidamento non è sempre stata pacifica in relazione al settore amministrativo. In particolare, la questione che è stata al centro di un acceso dibattito dogmatico e giurisprudenziale, è stata quella della configurabilità o meno in capo alla Pubblica Amministrazione di un dovere, soprattutto in sede di esercizio del potere di autotutela, di salvaguardare le situazioni soggettive vantaggiose per il privato, conseguenti ad atti e comportamenti della PA, tali da ingenerare, appunto, un ragionevole affidamento nel destinatario. Definitiva, tuttavia, è stata la pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Sentenza, 12 luglio 1957, cause riunite C-7/56 e da C-3/57 a C-7/57, Alghera che per la prima volta ha enunciato il dovere della Pubblica Amministrazione di tenere conto del legittimo affidamento del privato come limite all'esercizio del potere di autotutela. I giudici europei hanno evidenziato la necessità di bilanciare due interessi contrapposti, vale a dire, da un lato, l'interesse pubblico alla rimozione di un provvedimento viziato e, dall'altro, l'interesse privato al mantenimento della posizione acquisita. Secondo la Corte di Giustizia Europea, tale bilanciamento doveva concludersi nel senso di sacrificare l'interesse pubblico in favore della tutela dell'affidamento del privato solo in presenza di un fattore temporale e dell'elemento soggettivo della buona fede.
L'applicabilità nel caso di cui ci si occupa di tale principio appare lampante. I lavoratori che hanno preso parte al processo di selezione così come dettagliatamente definito nel bando emesso dalla società hanno chiaramente riposto affidamento sullo stesso, vi è di più trattandosi di un processo di selezione piuttosto lungo, che richiedeva costanza da parte dei soggetti partecipanti, impegno e dedizione. Ci si può spingere a dire che per il periodo di obbligatoria frequenza dei corsi gli stessi non hanno di fatto impiegato il loro tempo per un'attiva ricerca di ulteriore o diversa applicazione. Ancor più tutti i 324 partecipanti che di fatto sono stati ritenuti idonei a superare il concorso indetto.
Nello stesso senso, relativamente cioè facendo pesare la bilancia sull'ipotesi dell'interpretazione pubblicistica, è il costante riferimento fatto al contenimento della spesa pubblica, uno degli elementi che la P.A. deve sempre obbligatoriamente tenere in considerazione nei vari giudizi di bilanciamento che si trova costretta ad effettuare di volta in volta (art. 5 bis, co. 1 e 2 d.lgs. 22/2013).

L'antitesi privatistica
La Suprema Corte riconnette al ruolo pubblicistico del bando di gara, il valore di offerta al pubblico ex art. 1336 cod. civ. per quanto riguarda le prescrizioni contenute all'interno di esso. Di fatto, l'operazione di trasposizione dei caratteri discendenti dalla configurazione del bando di assunzione come lex specialis riconduce necessariamente a propendere per analogia agli effetti che discenderebbero dall'identificare lo stesso come offerta al pubblico, e non di certo come invito a contrarre.
In questo modo, aderendo alla concezione privatistica – negoziale, l'aggiudicazione da parte dei lavoratori si configurera come atto negoziale con il quale la PA accetta la proposta formulata dal privato e manifesta la volontà di addivenire alla conclusione del contratto.
L'offerta al pubblico infatti non soltanto vale come proposta, secondo la dizione dell'art. 1336, ma ha la natura della proposta: il codice stesso indica come finalità della proposta al pubblico la conclusione di un contratto. Di fatti, nella realtà colui il quale fa un'offerta al pubblico vuole rimanere obbligato a prestare a seguito dell'accettazione di una qualsiasi persona che appartenga a quel gruppo al quale l'offerta è rivolta, e reciprocamente una qualsiasi persona che appartenga a quel gruppo al quale l'offerta è rivolta non intende che l'offerente sia obbligato a prestare prima che abbia notizia dell'accettazione. Prima di tale notizia non vi è altro che l'intenzione di ritenere concluso il contratto per il solo fatto dell'accettazione.
La giurisprudenza è costante tra l'altro nell'identificare i bandi di concorso pubblici come offerte ex art. 1336: tra le più esplicative e recenti pronunce si segnala infatti quanto segue: "il bando di concorso per l'assunzione di personale nel pubblico impiego ha una natura giuridica duplice, ossia è, al contempo, provvedimento amministrativo ed atto negoziale (ossia di offerta al pubblico) vincolante nei confronti dei partecipanti. Le disposizioni del bando, per ragioni di trasparenza e di par condicio dei candidati, sono le uniche a disciplinare le procedure concorsuali e sono vincolanti tanto per l'amministrazione, quanto per i partecipanti che le accettano con la presentazione della domanda". (Tribunale, Bergamo, sez. lav., 12/05/2022, n. 293)
Nei concorsi pubblici ogni concorrente, con la sua accettazione dà vita ad un rapporto (di lavoro) condizionato – le cui condizioni sono infatti contenute nel bando di gara - all'evento che altri non possa essere dichiarato vincitore; l'efficacia del rapporto infatti, risulta ritardata fino all'accertamento dell'inesistenza di altro concorrente più meritevole del primo, e, solo a questo punto, la condizione sospensiva anche per il concorso si configura esistente.
Di fatti, analizzando nel dettaglio il primo comma dell'art. 1336 cod. civ., "l'offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta [1326], salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi" è evidente il necessario riferimento agli elementi necessari per poter concludere il contratto, e nulla vieta che tali elementi, per venire in essere, siano sottoposti a condizione sospensiva (quale, appunto, un concorso). Il difetto completo di questi renderebbe indeterminata l'offerta e quindi inidonea a concludere un contratto, ma quando essi, come nel caso di specie, sono perfettamente determinati, manca un qualunque elemento che possa far venire meno gli elementi necessari a ritenere tale comunicazione una offerta al pubblico vincolante: "In tema di lavoro pubblico privatizzato, qualora la p.a. abbia manifestato la volontà di provvedere alla copertura di posti di una determinata qualifica attraverso il sistema del concorso interno e abbia, a questo fine, pubblicato un bando che contenga tutti gli elementi essenziali, prevedendo il riconoscimento del diritto del vincitore del concorso di ricoprire la posizione di lavoro disponibile e la data a decorrere dalla quale è destinata a operare giuridicamente l'attribuzione della nuova posizione, sono rinvenibili in un tale comportamento gli estremi dell'offerta al pubblico, che impegna il datore di lavoro pubblico non solo al rispetto della norma con la quale ha delimitato la propria discrezionalità, ma anche ad adempiere l'obbligazione secondo correttezza e buonafede. Il superamento del concorso, pertanto, consolida nel patrimonio dell'interessato l'acquisizione di una situazione giuridica individuale non disconoscibile alla stregua della natura del bando nè espropriabile per effetto di diversa successiva disposizione generale volta, come nella specie, a posticipare la decorrenza giuridica ed economica dell'inquadramento." (Cassazione civile, sez. lav., 11/11/2021, n. 33470).
Se la giurisprudenza appare però così sicura circa la natura da attribuire al bando di gara dal punto di vista privatistico, la dottrina non è altrettanto univoca.
Aderendo alla concezione privatistica – negoziale, l'aggiudicazione come atto conclusivo dell'iter avviato dalla pubblicità del concorso pubblico si configurerebbe come atto negoziale con il quale la PA accetta la proposta formulata dal privato e manifesta la volontà di addivenire alla conclusione del contratto.
Tuttavia, tutto quanto fino ad ora discusso contrasta con l'articolo 11, comma 7, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ai sensi del quale "l'aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell'offerta. L'offerta dell'aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 9".
La disposizione introdotta dal Codice dei contratti pubblici descrive un'ipotesi in cui l'aggiudicazione definitiva si limita a realizzare, sul piano negoziale, l'effetto di rendere irrevocabile la proposta fino al termine indicato per la stipulazione del contratto, sbilanciando di fatto qualsiasi equilibrio contrattuale a favore di un interesse pubblico (la P.A. come datore di lavoro) esaltando la connotazione autoritativa che connota la fase di scelta del contraente, piuttosto che quella privatistica.
In aggiunta a ciò, il codice degli appalti all' articolo 64 comma 4, così come modificato dal decreto legislativo 11 settembre 2008, n. 152, per ciò che riguarda il contenuto del bando di gara, stabilisce che: "Il bando di gara contiene gli elementi indicati nel presente codice, le informazioni di cui all'allegato IX A e ogni altra informazione ritenuta utile dalla stazione appaltante, secondo il formato dei modelli di formulari adottati dalla Commissione in conformità alla procedura di cui all'articolo 77, paragrafo 2, direttiva 2004/18".
L'amministrazione, dunque, può inserire nel bando elementi ulteriori e più restrittivi rispetto a quelli previsti dalla legge, purché venga rispettato il limite della logicità, della ragionevolezza e della pertinenza rispetto allo scopo perseguito.
Si richiamano in tal senso le pronunce del Consiglio di Stato, che con la sentenza 15 dicembre 2005, n. 7139, ha riconosciuto "la legittimità di tutti quei requisiti richiesti dalla P.A. che, pur essendo ulteriori e più restrittivi di quelli previsti dalla legge, comunque rispettino il limite della logicità e della ragionevolezza e, cioè, della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito. La P.A., infatti, nella predisposizione del bando, esercita un potere attinente al merito amministrativo, laddove inserisce disposizioni ulteriori rispetto al contenuto minimo ex lege previsto; queste ultime, quindi, saranno censurabili in sede giurisdizionale, solo allorché appaiano viziate da eccesso di potere, ad esempio per illogicità o per incongruenza rispetto al fine pubblico della gara" (in senso conforme si veda anche: T.A.R. Genova, Sez. II, 15 maggio 2008, n. 1009; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 19 marzo 2007, n. 2934;).

La sintesi mancante: l'intuitu personae
Si è anticipato che nel caso di specie un elemento di possibile sintesi fra le esigenze pubblicistiche e quelle privatistiche evidenziare dalle pronunce in commento può essere individuato nell'intuitu personae.
Non è un caso che la dottrina classica, nel definire cosa debba intendersi per intuitu personae faccia espresso riferimento sia ai contratti di lavoro che agli appalti. E infatti, innegabile risulta, nell'impiego privato, la discrezionalità dell'imprenditore che può scegliere i collaboratori di cui avvalersi, specialmente tenuto conto del vincolo fiduciario che deve venirsi a creare e su cui si baserà interamente il rapporto di lavoro, per cui l'intuitu risulta essere strumentale.
Diversamente nella disciplina pubblicistica, l'applicazione di tale principio è da riferirsi a un'ottica di tutela della P.A. e dalla P.A., così da poter assicurare quei criteri di trasparenza e garantire i fondamentali principi di diritto pubblico. Trasposto nella sentenza in esame, questo principio porterebbe ad escludere l'applicazione di qualsiasi ulteriore criterio oltre quelli contenuti nel bando di gara così come pubblicizzato.
Per il tema di cui trattasi, tuttavia, bisogna conciliare questa esigenza del diritto pubblico con l'importanza invece rivestita dall'intuitu personae nel diritto del lavoro, come accennato sopra.
Intuitu e fiducia non sono due concetti coincidenti: la dottrina evidenzia come, sebbene entrambi riguardino la rilevanza delle qualità della persona nel rapporto contrattuale, il primo «si presta ad essere riferito alla fase prodromica del rapporto, anche per l'etimologia, "considerazione della persona", implicante la scelta dell'altro contraente sulla base di una valutazione prognostica circa la sua rispondenza alle proprie esigenze», mentre la fiducia «si presta ad essere riferita alla fase dinamica di un rapporto di durata, anche per l'etimologia, "affidamento", basata sulla valutazione proiettiva della probabile continuità di detta rispondenza» (P. Tosi, Intuitus personae e fiducia, in Arg. dir. lav., 2012, I, pp. 540-541).
Opportuno pare quindi ricollegare l'intuitus a una funzione strumentale al rapporto di lavoro, una causa che produce come effetto quello di generare un rapporto di fiducia laddove vi sia una particolare considerazione della persona e delle sue qualità, si riscontra generalmente «anche quella particolare posizione del soggetto che si esprime col termine di fiducia» (C. Smuraglia, La persona del prestatore nel rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano).
La dottrina civilistica, riconduce ad esso una serie di effetti, quali l'intrasmissibilità del contratto inter vivos o mortis causa, la rilevanza determinante dell'errore sulla persona, l'efficacia estintiva dell'impossibilità sopravvenuta, l'infungibilità della prestazione, pur mancando di riconoscere la configurabilità di una categoria unitaria di negozi caratterizzati da tale elemento, anche perché, si evidenzia, i singoli effetti giuridici che di solito si ricollegano all'intuitu mutano da rapporto a rapporto, e non «presentano nelle disposizioni legislative che li prevedono un significato univoco, tale da giustificarne il ruolo di indici normativi assoluti» (A. Galasso, Errore sulla persona, personalità della prestazione e intuitus personae, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1973). «Tuttavia, va condivisa la tesi secondo cui è possibile concludere quindi che «vi sono alcuni contratti nei quali la presenza dell'intuitus è connaturata e diremmo così strutturale; ve ne sono altri, invece, nei quali l'introduzione dell'intuitus dipende esclusivamente dalla volontà delle parti …» (C. Smuraglia, op. cit.).
Alla luce di quanto sopra, l'unico dato costante dell'intuitu resterebbe la particolare considerazione che uno dei contraenti abbia dell'altro – o, quantomeno, di alcune sue qualità fondamentali e per tale ragione appare più corretto parlare di negozi intuitu personae che di negozi "di fiducia", in tal modo ponendo in rilievo il fatto che tali negozi non sarebbero a priori stati stipulati qualora non fosse sotteso tale elemento (componenti della personalità che «pur trascurabili di per sé per il diritto in genere e irrilevanti per la generalità degli altri soggetti, possono assumere un'importanza particolare e fondamentale in un caso specifico e per un soggetto determinato». Può trattarsi «di qualità attive ed esteriori della persona (capacità, talento, abilità, moralità) oppure di qualità che potrebbero dirsi passive (ad es. la rinomanza che circonda un dato soggetto). Ciò che rileva è che si tratti comunque di qualità inerenti alla persona, di attributi della personalità» (AA.VV., Il diritto amministrativo oltre i confini, Giuffrè, Milano, 2008).
Larga parte della dottrina ritiene che l'intuitu debba essere considerato quale elemento della causa del negozio, ma non si riscontrano voci contrarie nell'affermare che esso sia comunque motivo (principale) che induce a concluderne uno. Con specifico riguardo al rapporto di lavoro, la maggior parte degli autori lo considera tra quelli contraddistinti dall'intuitu personae, con tutte le conseguenze che ne derivano (C. MURENA, Fiducia e subordinazione. Il lavoro bancario, Torino, G. Giappichelli).
Ebbene, alla luce dell'interpretazione che necessariamente discende dall'applicazione delle disposizioni di cui sopra circa il codice degli appalti e del codice dei contratti pubblici, appare più corretto ricondurre la disciplina del bando di gara alla disciplina dell'invito a contrarre.
Di fatto, seguendo questa ipotesi, l'amministrazione, con l'emanazione del bando, anche se dettagliato e idoneo a concludere un contratto, non ha inteso procedere alla conclusione dello stesso, difettando quindi in toto la volontà di uno dei due contraenti (per lo meno a quelle condizioni). Si tratterebbe esclusivamente di una manifestazione di interesse, uno strumento informativo che si collega a una procedura negoziata per l'affidamento di un contratto. L'avviso pubblico esplorativo, il bando in questo caso, ha per oggetto la manifestazione d'interesse nel partecipare a una procedura negoziata alla quale potranno prendere parte solo le persone che rispondono ai requisiti elencati nello stesso.