Il CommentoRapporti di lavoro

Marco Biagi, il pragmatismo delle riforme possibili

di Michele Tiraboschi

Consulente di spicco del Governo Berlusconi II per le riforme del mercato del lavoro e – fatto questo meno noto – stimato consigliere di Romano Prodi, a quel tempo Presidente della Commissione europea, sulle stesse materie. Questi i principali incarichi del professor Marco Biagi, titolare della cattedra di diritto del lavoro nella facoltà di economia a Modena, quando venne colpito dalle Brigate Rosse: trucidato con cinque colpi d’arma, davanti al portone di casa, la sera del 19 marzo 2002. Era nato a Bologna il 24 novembre del 1950, quest’anno avrebbe compiuto 75 anni.

Tutto questo è davvero troppo poco per descrivere chi era Marco Biagi.

Il suo coinvolgente modo di insegnare il diritto nelle aule universitarie, partendo sempre dal dato reale più che da una gelida disposizione normativa, lontano da una tradizione accademica formalistica anche per la relazione diretta e senza barriere che sapeva costruire con gli studenti. Il suo impegno di cattolico e socialista per la modernizzazione di quello che, allora come oggi, è il peggior mercato del lavoro d’Europa. Il suo pragmatismo e la sua ostinazione per le riforme possibili, lontano dalle ideologie e, anzi, sempre attento alle ricadute per i lavoratori in carne e ossa e per la sostenibilità del sistema produttivo. La sua perfetta conoscenza dei modelli stranieri di relazioni industriali che lo portavano a sollecitare i decisori politici a ripensare profondamente le regole del lavoro uscendo da logiche provinciali per adottare una prospettiva di benchmark rispetto alle migliori pratiche esistenti al mondo, così da impostare una corretta competizione con le imprese su scala globale. La ventata di aria nuova che portò nel dibattito pubblico, forte dello spazio, di cui era particolarmente fiero, che gli era stato affidato dal Sole 24 Ore.

Il lavoro per lui non era un posto da tutelare: al centro erano le competenze e la capacità di rinnovarle

Uno spazio che si conquistò anche grazie alla buona parola messa dall’amico Giuliano Cazzola e che fu in grado di consolidare in breve tempo, diventando editorialista di punta di questo giornale, grazie a uno stile di scrittura chiaro e al coraggio delle posizioni che sosteneva. Posizioni sempre nette e dirette all’obiettivo, senza troppi giri di parole o compromessi per non scontentare qualcuno tra i tanti che allora lo ritenevano un eretico solo perché incapaci di comprendere quelle trasformazioni del lavoro che vediamo oggi e che lui aveva intuito prima di tutti.

Una efficace testimonianza di tutto ciò si trova nell’ultimo editoriale per il Sole 24 Ore, scritto poche ore prima dell’attentato e pubblicato il 21 marzo 2002, nel pieno della violenta contesa politica e sindacale sull’articolo 18. Una tematica, quella della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo, su cui l’Italia sarà chiamata a dividersi, una volta ancora, tra pochi mesi con la votazione referendaria promossa dalla Cgil. Non che il tema dei licenziamenti fosse al centro della proposta riformista di Marco Biagi; la sua vera preoccupazione era il lavoro dei giovani, penalizzati da percorsi formativi autoreferenziali, e l’inclusione dei tanti ai margini del mercato del lavoro o intrappolati nel lavoro sommerso. Semplicemente, già un quarto secolo di fa, considerava l’articolo 18 una tutela superata dalla realtà dei fatti e cioè dai profondi cambiamenti della economia e della stessa società.

In una relazione presentata il 18 aprile 2001 al comitato scientifico di Confindustria, destinata a diventare la base del celebre Libro Bianco sulla modernizzazione del mercato del lavoro, aveva sostenuto che il lavoro non è più un “posto” da tutelare o un “luogo” da frequentare, ma un progetto, misurabile nei risultati più che con l’orologio, che si sviluppa per fasi o cicli professionali dove diventano centrali le competenze dei lavoratori e la capacità di rinnovarle in continuazione. Una anticipazione dello smart working, insomma.

Ecco perché affermare che Marco Biagi ci parla ancora non è un esercizio retorico. Contestare i (deboli) progressi compiuti nella regolazione del lavoro non ha infatti nulla a che vedere con questa o quella singola previsione di legge in un Paese penalizzato dal dumping contrattuale e che ancora attende efficienti politiche attive del lavoro. Il dado è tratto, scriveva ventritré anni fa Marco Biagi sul Sole 24 Ore. Perché oggi come allora la questione è una sola: modernizzazione o conservazione?

Per approfondire

👉 Marco Biagi e il mercato del lavoro, su Modulo24 Contenzioso Lavoro