Il demansionamento si verifica in tre passaggi
Per determinare l'inquadramento di un lavoratore subordinato che eventualmente sia oggetto di contestazione è necessario compiere un procedimento logico-giuridico ben preciso, che si sviluppa lungo tre fasi successive e che di recente la Corte di cassazione ha avuto modo di ripercorrere (sentenza 20253/2021).
Il primo passaggio di tale iter consiste nell'accertare le attività che in concreto il lavoratore abbia svolto. Fatta questa verifica, occorre individuare quali sono le qualifiche e i gradi che il contratto collettivo di categoria applicabile prevede.
Infine, occorre prendere in esame i risultati delle due indagini e metterli a confronto tra loro, con la precisazione che ognuno dei tre predetti passaggi deve essere ben scandito nell'eventuale sentenza con la quale si decida giudizialmente della questione.
Nella medesima occasione, la Corte di cassazione ha ribadito che il divieto di variazione peggiorativa delle mansioni posto dall'articolo 2103 del Codice civile fa sì che non sia possibile affidare a un lavoratore mansioni inferiori a quelle precedentemente disimpegnate.
È infatti indispensabile che il livello professionale acquisito da ciascun dipendente sia conservato e che le eventuali nuove mansioni aderiscano alla competenza professionale specifica di ognuno e garantiscano lo svolgimento e l'accrescimento delle diverse capacità.
A fronte di ciò, al fine di giustificare un demansionamento non basta dedurre genericamente una ragione riorganizzativa aziendale. Del resto, se il lavoratore allega un demansionamento non rispondente agli obblighi posti dall'articolo 2103, il datore di lavoro è gravato dell'onere di provarne l'esatto adempimento dimostrando o che, in effetti, non vi è stato demansionamento o che quest'ultimo risultava giustificato da un legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari o dall'impossibilità della prestazione dovuta a causa a sé non imputabile.
Merita infine di essere segnalata l'ulteriore precisazione fatta dalla Corte di cassazione, che ha ricordato che il risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale che si lamenti essere derivato dal demansionamento o dalla dequalificazione non è una conseguenza automatica dell'inadempimento datoriale, ma necessita di una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio che si chiede venga ristorato.