Contratto a tempo determinato: ok al termine per relationem
In linea generale, la caratteristica del contratto a tempo determinato è quella di sciogliersi automaticamente, senza alcuna esplicita volontà delle parti, una volta che sopraggiunga il termine fissato che ne limita la durata, che lo connota e che le parti conoscono sin dall'inizio.
Per la Corte di cassazione (sezione lavoro, 15 febbraio 2021, n. 3817), tuttavia, ciò non vuol dire che il predetto termine debba necessariamente essere rigidamente prefissato, essendo ben possibile che le parti decidano di ancorarlo genericamente al venir meno dell'esigenza temporanea di lavoro.
In altre parole, per i giudici la durata del rapporto a tempo determinato (così come quella di una sua eventuale proroga) può essere stabilita anche per relationem a dati che, però, devono essere obiettivamente verificabili.
Ad esempio, come già affermato in passato dalla Corte di cassazione e come di recente dalla medesima ribadito, se un lavoratore è assunto a tempo determinato per sostituire un dipendente assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, nel contratto non deve essere necessariamente fissato un preciso termine finale, ma può anche essere inserito un termine per relationem collegato al rientro in servizio del lavoratore sostituito.
Ma vi è di più: i giudici hanno altresì chiarito che deve ritenersi legittima anche l'indicazione contestuale tanto di un termine fisso finale quanto di un termine mobile collegato alla cessazione dell'esigenza temporanea che ha giustificato la stipula del contratto a tempo determinato. Tale scelta infatti, oltre a non rappresentare di per sé una causa di illegittimità dell'apposizione del termine, non è neanche da sola idonea a dimostrare, in assenza di una diversa e specifica prova, la sussistenza di una volontà del datore di lavoro di eludere i vincoli imposti dal legislatore con riferimento alla stipula di contratti a tempo determinato.
Nel caso di specie, ad esempio, vi era stata una proroga di incarichi a tempo determinato effettuata per far fronte a una carenza di organico in strutture ospedaliere e territoriali, che si sarebbe risolta una volta che fosse stato immesso in servizio personale a tempo indeterminato all'esito di procedure di mobilità o concorsuali.
Per la Corte, deve reputarsi corretta la decisione del datore di lavoro di disporre la proroga precisando che gli incarichi avrebbero potuto cessare prima della scadenza stabilita se fossero stati coperti i posti con personale a tempo stabile.