Distacchi transnazionali, allerta contro le frodi
La recente nota dell’
Il dlgs n. 136/2016 sui distacchi all’interno dell’Unione europea (attuazione della direttiva 2014/67/UE) ha accorpato in un unico testo l’intera materia, abrogando e riscrivendo anche il precedente dlgs 72/2000 che aveva attuato la direttiva 96/71/CE. Ai fini dell’applicazione di queste disposizioni, la nozione di distacco non coincide con quella posta (ad altri fini) dall’ordinamento interno e in particolare dal dlgs 276/2003. È infatti molto più ampia, applicandosi a tutti i casi in cui un lavoratore, abitualmente occupato in uno Stato, svolge temporaneamente il proprio lavoro in uno Stato diverso. Comprende quindi anche la somministrazione e il lavoro svolto nell’ambito di un appalto.
Ciò posto, la finalità della normativa europea (e della legislazione nazionale attuativa) è quella di contemperare i principi comunitari di libera prestazione dei servizi nell’ambito dell’Unione con quelli di tutela delle condizioni di lavoro. Il punto di equilibrio è individuato nell’obbligo di garantire al lavoratore distaccato le condizioni di lavoro e di occupazione vigenti nello Stato “ospitante”, ma solo su alcune materie: limiti massimi di lavoro e minimi di riposo, ferie, minimi retributivi, limiti alla cessione temporanea di lavoratori, salute e sicurezza, tutela della maternità e dei minori, parità di trattamento e non discriminazione. È quindi evidente che, non essendo il principio di parità di trattamento assoluto (tranne che nel caso della somministrazione), il lavoratore “straniero” può costare di meno di quello assunto localmente. Senza contare che i contributi sociali potranno continuare ad essere pagati nel paese di origine, nella misura (magari inferiore) ivi prevista. Il che è perfettamente legittimo se l’impresa straniera distaccante è un genuino soggetto imprenditoriale, se i suoi dipendenti distaccati sono effettivamente lavoratori che operano abitualmente nel loro paese e se esiste effettivamente un valido e ben definito rapporto contrattuale tra l’azienda straniera datrice di lavoro e il destinatario della prestazione lavorativa in Italia.
Se così non è, c’è il rischio, sottolineato dall’Ispettorato, di trovarsi in presenza di pratiche fraudolente, volte ad utilizzare in Italia personale solo formalmente assunto in paesi a più basso costo del lavoro. L’Ispettorato ne individua alcune, richiamando su di esse l’attenzione degli ispettori: l’intestazione del rapporto di lavoro ad una società straniera fittizia o di comodo, che non esercita nel proprio paese alcuna attività produttiva ma solo gestione amministrativa del personale; o ancora la circostanza che l’impresa distaccante non presti alcun servizio ma si limiti a fornire personale (in assenza ovviamente dell’autorizzazione all’attività di somministrazione); l’assunzione all’estero di lavoratori che risiedono e lavorano abitualmente in Italia.
È su situazioni del genere che, in applicazione delle istruzioni contenute nella nota e nelle circolari che l’hanno preceduta, si appunterà l’attenzione degli ispettori. Con l’utilizzo dei nuovi strumenti di verifica previsti dal dlgs 136/2016: obbligo di comunicazione preventiva del distacco, certificazione dell’iscrizione dell’impresa straniera al sistema di sicurezza sociale nel paese d’origine, obbligo di designare in Italia un referente per il personale di vigilanza e di conservare ed esibire i documenti, cooperazione amministrativa e scambio di informazioni tra le autorità competenti degli Stati membri.
La nota n. 4833/17 dell'Ispettorato nazionale del lavoro