Contenzioso

I contributi possono riferirsi a una retribuzione più alta di quella effettiva

immagine non disponibile

di Valeria Zeppilli

Il rapporto contributivo è autonomo rispetto all'obbligazione retributiva, il che vuol dire che può anche essere parametrato a una somma superiore rispetto a quella corrisposta a titolo di retribuzione e che non può essere rimodulato in funzione dell'orario o della presenza al lavoro oggetto di accordo tra datore di lavoro e dipendenti. Questo, in sostanza, è quanto affermato dalla Corte di cassazione, con la sentenza 4676/201 del 22 febbraio.

Per i giudici, la prima cosa da considerare a tale proposito è che la base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore a quello che viene definito minimale contributivo, ovverosia all'importo che, applicando i contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale, dovrebbe essere corrisposto ai lavoratori di un determinato settore. Tale minimale potrebbe infatti non essere rispettato laddove, ad esempio, ai lavoratori venissero retribuite meno ore di quelle previste dall'orario normale di lavoro e la contribuzione venisse modulata su tale minore retribuzione. In tal modo, a essere compromessa sarebbe la stessa idoneità della contribuzione a soddisfare le esigenze, di carattere previdenziale e assistenziale, che ne hanno determinato l'istituzione.

Così, per la Corte di cassazione, è evidente che il datore di lavoro non può modulare la propria obbligazione contributiva in funzione dell'orario e della presenza al lavoro dei dipendenti: tale obbligazione deve essere predeterminata e oggettiva, anche considerando un eventuale controllo da parte dell'ente previdenziale. I contributi, quindi, rimangono sempre svincolati dalla retribuzione effettivamente corrisposta e sono dovuti interamente, nell'ammontare previsto dal contratto collettivo, anche quando il lavoratore è assente o la prestazione lavorativa resta sospesa per effetto di un accordo tra le parti, frutto di una libera scelta del datore di lavoro.

Diverso, chiaramente, è il caso in cui le ipotesi di sospensione siano previste dalla legge, ovverosia ci si trovi di fronte all'assenza per malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione. Insomma: non tutte le alterazioni del sinallagma funzionale del rapporto di lavoro sono tali da incidere sull'obbligazione contributiva, dato che quest'ultima segue delle regole sue proprie e, in alcuni casi, resta dovuta anche se a carico del datore di lavoro non grava alcun obbligo retributivo. In proposito, rileva ad esempio il caso della forza maggiore non imputabile al datore di lavoro: se questa può liberare il lavoratore dall'obbligo della prestazione lavorativa e il datore di lavoro dall'obbligo di corrispondere la retribuzione, ai fini della determinazione dell'obbligazione contributiva la forza maggiore rileva solo se vi sia una clausola del contratto collettivo di settore che le attribuisca la qualità di causa di sospensione del rapporto di lavoro.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©