Il CommentoContrattazione

Il salario minimo e la questione della maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali

di Andrea Musti

In anteprima da Guida al Lavoro n. 49/2023

Il dibattito sulla proporzionalità e sufficienza della retribuzione ex art. 36 Cost si è fatto e continua a farsi sempre più intenso, anche alla luce del recentissimo emendamento presentato dalle forze di maggioranza in sede di Commissione lavoro alla Camera, che di fatto bypassa la proposta delle opposizioni sul salario minimo per legge, optando piuttosto per una politica di valorizzazione della contrattazione collettiva nella determinazione della “giusta retribuzione” in luogo di quella che ne privilegia una determinazione appunto su base legale.

Dibattito, va ricordato, già accesosi a partire dalla pubblicazione delle note sentenze della Corte di Cassazione in data 2 ottobre 2023, la n. 27711/2023 e la n. 28320/2023, le quali, pur confermando con il precedente consolidato orientamento (tra tutte: Cassazione nn. 4621/2020, 20216/2021, etc.) il ruolo centrale della contrattazione collettiva nella determinazione dei livelli retributivi dei lavoratori, hanno sostanzialmente aperto la strada ad un controllo giudiziale più penetrante sui minimi retributivi fissati attraverso i CCNL di settore.

Autorevoli commentatori si sono più volte pronunciati sul tema analizzando le novità introdotte dalle note decisioni dei Giudici di Legittimità: prima tra tutte la questione della sindacabilità del CCNL di categoria (nella fattispecie concreta si trattava, come è noto, del CCNL per i dipendenti da Istituti e Imprese di Vigilanza privata e Servizi fiduciari) sottoscritti dalle OO.SS. maggiormente rappresentative; ma anche la questione del potere di discostamento dai parametri fissati dal CCNL applicato dai sindacati più rappresentativi, con conseguenti implicazioni tra le quali la perdita di forza contrattuale dei sindacati, etc..

Peraltro, ai citati pronunciamenti della Corte di Cassazione, ha fatto seguito una prima conforme decisione di merito, quella del Tribunale di Bari (la sentenza n. 2720 in data 13 ottobre 2023): il Giudice del merito, coerentemente al principio affermato dal Giudice delle Leggi, ritenendo insufficiente e non adeguata la retribuzione di cui agli artt. 23 e 24 del CCNL Vigilanza privata e Servizi Fiduciari, in relazione alla fattispecie concreta relativa al rapporto di lavoro di una guardia giurata, ha ritenuto applicabile in via analogica a detto rapporto di lavoro il diverso CCNL per i Proprietari di Fabbricati che per il medesimo inquadramento contrattuale prevede un trattamento economico considerato più adeguato. A questa prima conforme decisione di merito ne seguiranno - e ne stanno già seguendo - verosimilmente delle altre.

Il dibattito dunque appare in qualche modo polarizzato su alcuni punti nevralgici della questione, come introdotti dalle decisioni della Suprema Corte (come la possibilità di ricorrere al trattamento retributivo fissato in altri contratti collettivi di settore per mansioni analoghe, ai fini parametrici, etc.); ma esso dibattito risulta, a parere di chi scrive, più timido quando deve addentrarsi nel più vischioso terreno della prospettazione di soluzioni al problema; comprensibilmente vale la pena di aggiungere, stante la particolare magmaticità della questione affrontata e, a causa del momento attuale, in considerazione della sua inevitabile politicizzazione. Il che rende per certi versi più arduo per i commentatori tenere distinti i due piani della discussione: quello politico e quello giuridico. Ma è solo questo ultimo evidentemente che a noi preme.

In questa ottica, interessanti spunti sono stati offerti dalla proposta del CNEL, approvata all’assemblea del 12 ottobre scorso, intitolata “Elementi di riflessione sul salario minimo”, attraverso la sua Commissione informazione, su incarico della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’11 ottobre scorso, la quale chiedeva al Comitato un documento di proposte ed osservazioni in tema di “salario minimo” a fronte della prossima Legge di Bilancio, poi varata di fatto nei giorni scorsi.

Spunti che, come anticipato, risultano essere stati accolti dalla maggioranza di Governo che, difatti, in sede di Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, di recente, ha depositato un emendamento in due articoli, soppressivo della nota proposta di Legge già avanzata dal centro sinistra unito con la quale si prevedeva un tasso soglia minimo di 9 euro l’ora da realizzarsi con apposita Legge dello Stato. Quello della Commissione Lavoro della Camera è un emendamento con il quale si chiede al Governo di intervenire, entro sei mesi, con un suo provvedimento diretto a: “..garantire l’attuazione del diritto di ogni lavoratore e lavoratrice ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, come sancito dall’art. 36 della Costituzione, rafforzando la contrattazione collettiva e stabilendo criteri che riconoscano dei trattamenti economici complessivi minimi dei contratti collettivi nazionali maggiormente rappresentativi”. Dunque, la delega diventerà esecutiva mediante appositi decreti legislativi entro sei mesi. La prima parte della delega mira al rafforzamento della contrattazione collettiva con un focus specifico sui trattamenti economici minimi dei contratti collettivi maggiormente applicati, per garantire ai lavoratori trattamenti retributivi “giusti ed equi”. Inoltre, nel caso di contratti collettivi scaduti e non rinnovati entro i termini previsti dalle parti sociali, o nei casi nei quali manchi una contrattazione collettiva di settore (il tema dei ritardi nei rinnovi contrattuali infatti è stato oggetto di specifico esame da parte del Cnel, paragrafo 8 proposta), con il neo emendamento si intende attribuire al Ministero del Lavoro la facoltà di intervenire per adottare le misure necessarie a valere sui soli trattamenti economici minimi complessivi, avendo come riferimento anche i trattamenti minimi complessivi adottati in settori affini.

La seconda parte della delega è diretta a contrastare sia il dumping contrattuale che il lavoro nero o irregolare, e soprattutto i c.d. “contratti pirata”, mediante il potenziamento della trasparenza nelle dinamiche contrattuali. La delega inoltre si propone di intervenire anche con una riforma del settore della vigilanza privata del sistema cooperativo, ovvero il settore che come è noto è stato oggetto delle menzionate decisioni 27711/23 e 28320/23); nonché per introdurre una disciplina dei: “.. modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell’impresa.”

Tutti elementi quelli appena menzionati segnalati dal Cnel nel suo documento quali concause della problematica all’esame.

La proposta del Cnel

Vediamo più nel dettaglio la proposta del CNEL il quale, di fondo, presenta un quadro tranquillizzante rispetto alla posizione assunta dalla Suprema Corte con le richiamate sentenze del 2 ottobre 2023: il Comitato, a mezzo della sua Commissione informazione, infatti, punta sostanzialmente al rafforzamento della contrattazione collettiva e lo fa, a ragion veduta, sulla base del presupposto offerto dalla direttiva europea 2022/2041 - ovvero la direttiva che impone ai Paesi Membri di adottare entro il 15 novembre 2024 le misure necessarie a migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione ed in particolare di assicurare l’adeguatezza dei salari minimi dei lavoratori -. La direttiva infatti lascia agli Stati membri piena libertà di scelta sugli strumenti per realizzare detto adeguamento (con leggi, regolamenti, o attraverso la promozione della contrattazione collettiva): in tale ultimo caso però la precondizione posta dall’ Unione Europea è legata al tasso di diffusione della contrattazione collettiva in un determinato Paese, fissando il limite minimo dell’ 80% della copertura totale; da notare al riguardo che si tratta di un limite di tipo meramente quantitativo e non anche qualitativo. E questo elemento non è di poco conto anche con riguardo al tipo di analisi che i Paese membri devono approntare. Limite che comunque in Italia è più che osservato stante una copertura molto vicina al 100%. Da qui la base giuridica che segna la direttrice seguita dal Cnel.

In tal senso, il punto del documento del Cnel dedicato al “Tasso di copertura dei contratti collettivi nazionali di lavoro” (paragrafo 6) rappresenta in effetti il fulcro, quantomeno sostanziale, della proposta medesima.

Ma andiamo con ordine. La proposta del Cnel preannuncia in apertura (paragrafo 2) quale sarà il metodo che seguirà: la prima parte infatti è dedicata alla analisi delle problematiche sul “salario minimo” e la seconda concerne le conclusioni e proposte.

Nell’ambito della prima parte la Commissione delinea delle: “Chiavi di lettura e ambiti di analisi desumibili dalla direttiva europea sui salari minimi adeguati” (art 3): in tal senso il Comitato incentra la sua analisi sulla richiamata Direttiva 2022/2041 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nell’unione Europea (G.U L 275 del 25/10/22) la quale, come è noto, non impone l’obbligo di introdurre per via normativa il “salario minimo” (art. 1, par. 4 lett. A Direttiva); in particolare essa piuttosto valorizza la possibilità di ricorrere alla contrattazione collettiva nei Paesi Membri nei quali il “tasso di copertura” della stessa sia maggiormente elevato (almeno l’80%). Percentuale calcolata come rapporto tra il numero di lavoratori coperti da contratti collettivi ed il numero di lavoratori le cui condizioni di lavoro possono essere disciplinate da contratti collettivi conformemente al diritto e alle prassi nazionali (art. 3). Ed è infatti proprio su detta direttrice che il CNEL fonda la sua proposta di valorizzazione della contrattazione collettiva considerato che il tasso di copertura di questa ultima nel nostro Paese è effettivamente molto vicino al 100%.

In tale ottica, in tema di povertà retributiva, il Ccnl mette a fuoco alcuni punti nevralgici della questione: punto centrale è la reale rappresentatività dei soggetti sottoscrittori dei contratti collettivi;” ma anche il connesso problema dei c.d. “contratti pirata” (analizzato al paragrafo 9); la deprecata diffusione di forme di lavoro irregolare e sommerso e per l’effetto il connesso tema della reale efficacia delle attività ispettive. Inoltre, esamina l’impatto che può avere un eventuale intervento legislativo. Ed ancora: l’identificazione e adeguatezza ai sensi dell’art. 11 codice appalti dei trattamenti retributivi nel caso di appalti pubblici o contratti di concessione; l’assenza di strumenti adeguati rispetto alle necessità di conoscere il reale andamento della contrattazione collettiva. Ma anche: la diffusione di schemi contrattuali che escono dallo campo di applicazione della contrattazione collettiva (lavoro para-subordinato con riferimento al fenomeno delle c.d. ‘partite iva’ , stage extracurriculari, etc), oppure che comunque rischiano di precludere al lavoratore il pieno godimento dei trattamenti retributivi complessivi (area del lavoro temporaneo); l’abuso del contratto di apprendistato; l’incidenza del lavoro a tempo parziale c.d. involontario; il diffuso ricorso al lavoro occasionale; il problema della effettiva conoscibilità per il lavoratore del trattamento retributivo dovuto; la frequente discrasia tra le previsioni di legge e dei Ccnl e la reale prassi contrattuale applicata con riferimento agli specifici settori produttivi.

Da qui il tema della ‘adeguatezza della base informativa’ – come recepito dall’emendamento in Commissione lavoro alla Camera - e della conseguente necessità di ‘ripensare l’archivio nazionale dei contratti di lavoro del Cnel’ (art. 16 legge 936/1986) (paragrafo 4 proposta): la base informativa e conoscitiva attualmente disponibile è ritenuta migliorabile specie rispetto a quanto richiesto dalla direttiva europea 2022/2041 la quale impone “affidabili sistemi di monitoraggio della contrattazione collettiva e dell’andamento dei salari che con riferimento alla effettiva trasparenza e conoscibilità dei trattamenti retributivi da parte dei lavoratori “.

Una delle principali criticità individuate dalla Commissione informativa del Cnel infatti è rappresentata dalla assenza di monitoraggio sistematico sulla contrattazione di produttività e sulle misure di welfare aziendale nonché sui trattamenti retributivi nella ‘cooperazione di lavoro ‘ (al riguardo ricordo che il tema specifico della cooperazione di lavoro ha costituito la fattispecie concreta oggetto delle richiamate sentenze della Corte di Cassazione in tema di salario minimo). Anche questi elementi recepiti con il citato emendamento il quale infatti prevede la “riforma della vigilanza del sistema cooperativo”, oltre alle norme per “disciplinare modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili di impresa.”

Ma la Commissione informativa del Cnel individua altri punti critici - che la maggioranza di Governo, pure, ha inteso recepire: si tratta del problema del ‘disallineamento tra i criteri di classificazione dei contratti collettivi dei loro parametri contrattuali rispetto ai criteri utilizzati per descrivere le attività e produttive” (parliamo dei c.d. codici ATECO).

In effetti, un punto centrale del confronto all’interno della stessa Commissione Cnel, ma direi focale anche come analisi generale sulle cause della problematica in oggetto, è quello riguardante l’esatta misurazione delle tariffe contrattuali minime. Dal confronto sono emersi infatti punti di vista differenti all’interno della stessa Commissione circa le voci retributive da prendere in considerazione per quantificare il salario minimo. Ne è emersa invero la necessità di non sovrapporre il concetto di “salario minimo” a quello di “minimo tabellare”: solo le parti contrattuali firmatarie del Ccnl possono determinare le voci che compongono i minimi contrattuali, determinazione che non può essere prevista da soggetti esterni, come invece si è verificato in passato.

Dunque si sottolinea la essenzialità di un: “… archivio nazionale dei contratti di lavoro ..” realmente efficiente, aggiornato, ben informatizzato. “Incrementare la trasparenza” nelle dinamiche contrattuali, come anticipato, appare infatti essere centrale anche nell’ intervento in sede di Commissione Lavoro alla Camera, come già accennato.

La Commissione Cnel invero nella sua analisi, da una parte, sottolinea la fondamentale rilevanza delle fonti statistiche sui livelli retributivi, ma al contempo ne denuncia la “parziale eterogeneità”: è necessario “..individuare una unica sede partecipata da tutti gli attori istituzionali interessati così da evitare che partendo dagli stessi dati e indicatori si possa pervenire a conclusioni marcatamente difformi a causa della assenza di un metodo di lavoro condiviso ovvero della mancanza di una parte delle informazioni”.

Venendo al paragrafo 6 sopra menzionato, ovvero relativo al “Tasso di copertura dei contratti collettivi nazionali di lavoro” nel nostro Paese, la Commissione informativa conduce sul punto una disamina piuttosto analitica, considerando detto dato centrale rispetto agli obblighi imposti dalla Direttiva Europea.

Un tasso che secondo la Commissione, a fronte dei dati disponibili, si avvicina al 100% dei lavoratori dipendenti in Italia; ovvero di gran lunga superiore al limite minimo dell’80% fisato con la direttiva Europea 2022/2041. Ne deriva la piena conformità dell’Italia ai vincoli stabiliti dalla direttiva dati dalla “assenza di obblighi di introdurre un piano di azione a sostegno della contrattazione collettiva ovvero una tariffa di legge”.

Naturalmente la Commissione informativa sottolinea come sia centrale l’attendibilità della misurazione del tasso citato e al riguardo chiarisce che l’applicazione del contratto collettivo nel nostro Paese riguarda il 95% dei lavoratori dipendenti in Italia e che detta informazione deriva dalle denunce mensili rese dai datori di lavoro all’INPS mediante il “..flusso Uniemens che copre tutti i settori del lavoro privato con la rilevante eccezione dei lavoratori dipendenti agricoli (flusso PosAgri) e dei lavoratori domestici” .

Al riguardo la Commissione precisa che “..CNEL e INPS stanno potenziando la collaborazione nell’intento di superare ..le questioni tecniche che causano la lacuna informativa relativa ai settori agricoltura e lavoro domestico.”

Inoltre la stessa Commissione chiarisce che: “..in termini di copertura dei contratti collettivi va poi aggiunto un ulteriore 4 per cento di lavoratori alle dipendenze di datori di lavoro pubblici che compilano la dichiarazione mensile Uniemens (in tal caso ipotesi i datori di lavoro utilizzano il codice CPUB senza specificare quale CNEL viene applicato”.

La Commissione informativa precisa altresì che la rappresentazione dei dati CNEL-INPS ha ricevuto conferma anche dalle elaborazioni consegnate al Comitato l’ 11 settembre 2023 da Banca d’Italia ed Istat .

Secondo Banca d’Italia - si precisa nel documento del Cnel – “..in Italia esiste un sistema ampio e pervasivo di contrattazione collettiva nazionale che, secondo i dati disponibili basati sui rapporti di lavoro regolari di fonte INPS-Uniemens (anno 2021), interessa la quasi totalità dei lavoratori dipendenti del settore privato: si tratta di circa il 98 per cento, in base ai dati disponibili di fonte INPS Uniemens; per il restante 2 per cento il dato è mancante e quindi non è necessariamente riconducibile a mancata copertura”.

Invece secondo l’ISTAT: “.. sulla base dell’informazione disponibile dalla fonte Uniemens dell’INPS, integrata nel Registro annuale su retribuzioni, ore e costo del lavoro per individui e imprese (RACLI), nel 2019 le posizioni lavorative dipendenti regolari nelle imprese del settore privato extra-agricolo (esclusi anche i lavoratori domestici) sono circa 19,7 milioni; per circa il 98 per cento di esse è presente l’indicazione di un contratto collettivo di riferimento (codificato in base alla classificazione INPS in uso). Per il restante 2 per cento l’informazione non è presente, ma ciò non corrisponde necessariamente ad una mancata applicazione di un CCNL”

Il Cnel inoltre affronta il tema della adeguatezza dei trattamenti salariali previsti dai contratti collettivi nazionali concludendo per la sua sussistenza (paragrafo 8).

Naturalmente conduce una analisi dettagliata di cui in questa sede si può solamente portare una sintesi. Il Cnel a mezzo della sua Commissione infatti segnala il problema dei ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi, come si evince dalla tabella seguente, come estratta dal documento pubblicato sul sito del Comitato. Si evince così il numero complessivo di lavoratori a cui si applicano contratti scaduti, si tratta del 54% dei lavoratori dipendenti del settore privato al 1 settembre 2023.

Il Cnel precisa che non c’è stata uniformità di vedute all’interno della stessa Commissione informativa rispetto alle voci retributive (dirette ed indirette) da considerare per la definizione del minimo contrattuale, specie in considerazione del fatto che, a differenza degli altri Paesi dell’Unione europea, ove alla retribuzione per lo più si applica la tariffa oraria, in Italia il sistema della contrattazione collettiva si muove su parametri diversi.

In ogni caso, secondo il Cnel, sviluppando un “…parallelo tra le tariffe contrattuali e una ipotetica tariffa legale, i parametri suggeriti dalla direttiva europea portano a valorizzare il 50 per cento del salario medio ed il 60 per cento del salario mediano.”

Pertanto, il Comitato conclude che: “...anche in assenza di condivisione sui criteri di calcolo delle voci retributive che concorrono a definire il salario adeguato, ...nel complesso, pur con non trascurabili eccezioni, il sistema di contrattazione collettiva di livello nazionale di categoria supera più o meno ampiamente dette soglie retributive orarie”.

Sono interessanti d’altra le osservazioni del Cnel al riguardo. Si afferma infatti che in determinati settori sono emerse criticità che richiedono i dovuti approfondimenti: si tratta del settore del lavoro agricolo, del lavoro domestico, multiservizi e sevizi fiduciari, molto diffusi questi ultimi negli appalti pubblici. Inoltre viene segnalato il problema del lavoro sommerso (settore turistico, logistica, lavoro sportivo e culturale, assistenza alla persona etc.). Ed ancora, il Cnel registra che rispetto al tema del ‘salario minimo’ e del ‘lavoro povero’, vige altresì altra criticità: le “giornate lavorate medie retribuite che in Italia sono 235 (ISTAT)” e sulle differenze in tal senso che ricorrono tra i vari settori: si porta l’esempio nei servizi di alloggio e di ristorazione le giornate medie di lavoro sono solo 143, con la connessa difficoltà di comprendere quanto incidano le giornate lavorate “in nero”, con tutte le difficoltà di quantificare questo ultimo.

Altro tema segnalato dal Cnel riguarda la “tipologia contrattuale utilizzata”: “Sul totale dei lavoratori a bassa retribuzione annua, solo una percentuale ridotta è attribuibile ai lavoratori standard (temo indeterminato e full time) la gran sono lavoratori straordinari parte mentre secondo l’analisi del Comitato infatti “solo La maggioranza dei lavoratori temporanei o con contratto a tempo ridotto (ISTAT, Banca d’Italia)”.

Inoltre, il Cnel si sofferma sul fenomeno della “contrattazione pirata” (paragrafo 9), ovvero su quei contratti sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali poco rappresentative o addirittura sconosciute spesso con condizioni economiche e clausole normative peggiorative per i lavoratori: il Cnel precisa che allo stato non si è in possesso di criteri condivisi dalle forze sociali presenti nel Comitato per classificare un contratto collettivo depositato come pirata o meno.

Dall’archivio nazionale dei CCNL depositati presso il Cnel e alla fonte Uniemens dell’Inps, la Commissione informativa ha concluso che, nonostante i sindacati non rappresentati al Cnel riferiti alla X Consiliatura, firmino 353 CCNL, in realtà la copertura in termini numerici è contenuta in 54.220 lavoratori dipendenti, pari allo 0.4 per cento di cui è noto il CCNL applicato: dunque un fenomeno ritenuto dal Comitato in qualche modo molto contenuto.

Infine, il Cnel sostanzialmente conclude per la necessità di intervenire con urgenza mediante “..un piano di azione nazionale a sostegno del sistema della contrattazione collettiva quale risposta alla questione salariale e al nodo della produttività”.

“Estendere le migliori pratiche di contrattazione collettiva alla generalità del lavoro.” Queta è la linea generale da percorrere secondo il Cnel.

Ciò può essere realizzato implementando e ammodernando anche a livello organizzativo l’archivio dei contratti, con parallela revisione dei codici “ATECO” da parte dell’ISTAT, coerentemente alle previsioni dell’aggiornato Codice appalti e quindi in modo funzionale ai compiti richiesti da ANAC e CONSIP.

Tutti elementi questi recepiti con il recente emendamento depositato in Commissione lavoro alla Camera dei deputati.

Inoltre il Comitato suggerisce di allineare il sistema delle Comunicazioni Obbligatorie al codice CNEL-INPS con estensione al repository della contrattazione collettiva: ciò va inquadrato nell’ambito di un più generale sistema di monitoraggio della contrattazione di secondo livello e quindi sulle politiche di welfare aziendale portate avanti dalle aziende, con l’obiettivo di premiare le imprese che investono sulla qualità del lavoro e garantiscono trattamenti retributivi minimi e complessivi coerenti con il dettato costituzionale (art. 36 Cost.).

Anche questi spunti, come anticipato, risultano esser stati recepiti con il citato emendamento il quale indica nella sua ipotesi di legge delega il principio di “favorire lo sviluppo della contrattazione di secondo livello” anche “per fare fronte alle diverse necessità correlate all’incremento del costo della vita e alle differenze dei costi su base territoriale.”

Queste, nelle linee generali ed in via prettamente riassuntiva le analisi e le proposte del Cnel, come peraltro appaiono essere state recepite dalla maggioranza di Governo, quantomeno nella sede della recente proposta di emendamento alla proposta di legge sul salario minimo già avanzata dalle opposizioni. Naturalmente per conoscere la effettività, i termini e le modalità di detto recepimento, dovremo attendere gli sviluppi dell’iter parlamentare.

In conclusione

Il documento elaborato dal Cnel offre un’importante ricognizione sullo ‘stato dell’arte’ della contrattazione collettiva nel nostro Paese, mettendo in luce i punti nevralgici del sistema retributivo in essere, ma evidenziando anche carenze organizzative ancora da affrontare e risolvere, ed offrendo altresì spunti significativi.

La direttrice da esso fornita nel senso della valorizzazione della contrattazione collettiva quale strumento per dare seguito a quanto ci richiede l’Europa con la direttiva 2022/2041 in termini di adeguamento dei salari minimi dei lavoratori appare coerente alle peculiarità del nostro Paese in termini di diffusione della contrattazione medesima.

Le soluzioni offerte probabilmente sono connotate di una valenza più di indirizzo che di tipo realmente operativo, ma non per questo meno significative.

Per conoscere se e come le analisi e le proposte del Cnel saranno sviluppate in concreto, occorrerà attendere la evoluzione e quindi la definizione dell’iter parlamentare che sta attualmente tenendo banco sul piano delle politiche del lavoro, essenziali per il nostro Paese.

Andrea Musti

Avvocato

Senior Associate Studio Ichino Brugnatelli e Associati