Contenzioso

In caso di fallimento lavoratore nello stato passivo per il Tfr non versato al fondo pensione

Importante decisione della Cassazione su un tema caratterizzato da una forte incertezza normativa

immagine non disponibile

di Antonello Orlando

La sentenza 16116/2023 pronunciata dalla sezione Lavoro della Corte di cassazione codifica un ulteriore principio a tutela dei lavoratori che destinano il proprio trattamento di fine rapporto a un fondo di previdenza complementare.
La vicenda da cui muove la sentenza della Corte di legittimità riguarda il caso di un lavoratore che aveva aderito a un fondo di previdenza complementare, destinandovi il proprio Tfr; il datore di lavoro (una società di intermediazione mobiliare, in stato di fallimento al momento del contenzioso) non aveva versato parte del trattamento di fine rapporto al Fondo complementare.
Il lavoratore aveva direttamente presentato istanza per insinuarsi al passivo del fallimento per gli oltre 14mila euro di Tfr non versato al fondo di previdenza complementare. Il Giudice del Tribunale di Siracusa aveva tuttavia respinto la domanda del lavoratore, rintracciando la mancanza di legittimazione attiva del ricorrente; veniva respinta anche la richiesta di rinvio per la notifica al Fondo di previdenza complementare per surroga, in quanto la domanda del creditore (del Tfr non versato) per surroga avrebbe avuto dovere a oggetto l'insinuazione a favore del fondo complementare rimasto inerte, e non a favore del lavoratore.
Su questo tema va rilevata una forte incertezza normativa, cui la Covip aveva dato una prima, provvisoria, risposta nell'ottobre 2010, rilevando che la legge delega 243/2004 non aveva mai trovato compimento nella sua previsione di attribuire ai fondi pensione la contitolarità con i propri iscritti del diritto alla contribuzione, compreso il Tfr.
La decisione del tribunale di Siracusa, esaminata dalla Sezione Lavoro della Cassazione prendeva le mosse da una interpretazione ‘letterale' del rapporto fra lavoratore e fondo. Infatti, muovendo dall'articolo 8 del Dlgs 252/2005, che parla di “conferimento” del Tfr), il Giudice di merito aveva desunto la presenza di una cessione del credito, costituito dal Tfr, a favore del Fondo pensione, e non di una delegazione di pagamento a favore del datore di lavoro, che avrebbe invece ammesso una revoca con legittimità del lavoratore di pretendere in prima persona il credito. La lettura del tribunale di Siracusa di una cessione del credito comportava la legittimazione esclusiva del solo fondo pensione a insinuarsi al passivo per ottenere il Tfr non versato. Il giudice di primo grado avrebbe rintracciato una vera e propria surroga di diritto che taglierebbe fuori il lavoratore dalla difesa attiva del proprio credito. La Cassazione ha tuttavia smontato, accogliendo il ricorso del lavoratore, la lettura del tribunale siracusano: infatti, l'unica surroga di diritto rintracciata dalla Suprema corte si rinviene solo a favore del fondo pensione da parte del Fondo di garanzia di Inps (regolato dal Dlgs 80/1992) che eroga così le quote di Tfr non versato direttamente al fondo e non al lavoratore. Nel complesso rapporto triangolare presente fra lavoratore, datore di lavoro e fondo pensione, la Cassazione, al fine di tutelare la posizione di secondo pilastro del lavoratore, che non gode del principio di automaticità delle prestazioni, si è richiamata a una recente pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 12209/2022) che individua nella quantificazione monetaria della posizione pensionistica, pur se sostanzialmente diversa rispetto alla retribuzione, uno strumento di difesa del lavoratore e della sua futura rendita.
In questa lettura, dunque, il lavoratore risulta più che legittimato a farsi parte attiva nella tutela del suo credito, pur se conferito al fondo di previdenza complementare. Nella massima codificata dalla Cassazione, la triangolazione fra datore, lavoratore e fondo pensione lascia aperta la possibilità che le parti diano luogo a una delegazione di pagamento del lavoratore al datore oppure una cessione di credito futuro al fondo. Tuttavia, in caso di fallimento del datore di lavoro, la massima statuisce che di regola sia il lavoratore ad insinuarsi al passivo per le quote di Tfr accantonate e non versate al Fondo, venendo meno la delegazione di pagamento al datore di lavoro. Tale lettura potrà essere modificata, solo se emergeranno evidenze che vi sia stata una cessione del credito in favore del fondo, capovolgendo così la presunzione che aveva dato vita al contenzioso.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©