Contenzioso

In caso di retribuzione indebita recupero al netto del fisco

Il datore di lavoro non può chiedere di restituire le ritenute in quanto il dipendente non le ha mai percepite

di Valeria Zeppilli

Nel caso in cui il datore di lavoro corrisponda al dipendente una retribuzione maggiore per errore, le conseguenze rilevano anche con riferimento alle ritenute fiscali, che sono conseguentemente operate anch'esse per eccesso.

I giudici di legittimità, intervenendo sull'argomento (Corte di cassazione, ordinanza 1963/2023), hanno rilevato che, laddove tale evenienza si verifichi, la possibilità per il datore di lavoro di ripetere l'indebito nei confronti del lavoratore – salvi i rapporti con il fisco – è limitata a quanto questi abbia effettivamente ricevuto. Non è ammissibile recuperare le somme comprensive delle ritenute fiscali, considerato che queste non sono mai entrate a far parte della sfera patrimoniale del lavoratore.

Lo stesso discorso vale nel caso specifico in cui venga riformata una sentenza con la quale il datore di lavoro era stato condannato a versare certe somme in favore del lavoratore: anche in tale ipotesi la ripetizione nei confronti del dipendente non può estendersi oltre quanto quest'ultimo ha concretamente percepito, fino a comprendere le ritenute fiscali eccessive. Infatti, il venir meno sin dall'origine dell'obbligo fiscale determinato dalla riforma della sentenza va ricondotto alle previsioni dell'articolo 38, primo comma, del Dpr 602 del 1973, il quale prevede che il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell'amministrazione finanziaria spetti in via principale a chi ha eseguito un versamento sia per errore materiale o duplicazione, sia per inesistenza totale o parziale dell'obbligo.

In merito alla specifica ipotesi di ripetizione delle somme corrisposte al lavoratore in conseguenza della riforma della sentenza che ne aveva disposto il pagamento, è utile soffermarsi sull'ulteriore riflessione fatta dalla Corte di cassazione e relativa agli interessi legali.Come condivisibilmente sostenuto dai giudici, in tal caso non ci si trova di fronte a un'ipotesi riconducibile alla disciplina dettata dall'articolo 2033 del Codice civile in materia di indebito oggettivo, con conseguente irrilevanza della buona o mala fede di colui che ha percepito le somme.

Di conseguenza, gli interessi dovuti e l'eventuale rivalutazione relativa alla parte che eccede il danno presunto che i primi hanno già risarcito non possono che decorrere dal giorno del pagamento (non, quindi, da quello della domanda). Ci si trova, infatti, in una situazione in cui le prestazioni sono state eseguite e ricevute nella consapevolezza di entrambe le parti che il titolo alla base della corresponsione era rescindibile e i suoi effetti erano provvisori e, quindi, in una situazione in cui non è possibile dare alcun rilievo agli stati soggettivi di chi ha percepito le somme.

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