Infortunio del preposto di fatto: il gap formativo aggrava le responsabilità del datore di lavoro
Le informazioni devono riguardare i rischi relativi all’attività svolta e l’esperienza non è un elemento sufficiente
La recente mini riforma, operata dal Dl 146/2021 , ha introdotto importanti modifiche al testo unico della sicurezza sul lavoro, tra cui spiccano, in particolare, quelle riguardanti la fondamentale figura del preposto, sia in ordine ai suoi doveri d'intervento e di reporting (articolo 19), sia per quanto riguarda la formazione (articolo 37).
Proprio in relazione a quest'ultimo profilo, la Cassazione (quarta sezione, sentenza 39489/2022 del 19 ottobre), ha espresso alcuni orientamenti di rilievo. Il caso affrontato riguarda l'infortunio di un capo squadra, accaduto durante i lavori per la realizzazione di nuove linee per la distribuzione esterna dell'acqua riscaldata all'interno di uno stabilimento.
Per compiere l'operazione di posa in opera dei moduli metallici, l'infortunato, anziché servirsi per il loro posizionamento di una gru, come previsto nel "Pos aziendale", aveva impiegato un muletto, macchinario inadatto allo scopo; durante il lavoro, il capo squadra non era riuscito a reggere la fiancata di uno dei moduli del peso di circa 3,5 quintali, finendo per essere colpito dalla stessa e riportando lesioni dalle quali era derivata, a distanza di circa due mesi, la morte.
La Corte d'appello di Napoli aveva ritenuto responsabile il datore di lavoro del reato di omicidio colposo, con violazione delle norme antinfortunistiche (articolo 589 del Codice penale), addebitandogli, tra l'altro, di non aver formato il lavoratore.
Il datore ha proposto ricorso per cassazione, censurando l'operato dei giudici di merito sotto vari profili, lamentando in particolare la violazione di legge in ordine alla valutazione del comportamento esorbitante, eccentrico e eccezionale dell'infortunato, che la difesa ha ritenuto tale da interrompere il nesso causale tra la condotta addebitata e l'evento.
Preposto di fatto non formato correttamente
La Cassazione ha rigettato il ricorso, facendo rilevare che era stata accertata la mancanza di una formazione del dipendente e la sua irrilevante esperienza maturata sul campo: in particolare, era emerso che il caposquadra e preposto di fatto non era mai stato formato per tali attività. Il suo bagaglio professionale vantava anche una Soa che ne certificava la partecipazione a lavori pubblici e, tuttavia, i giudici territoriali hanno ritenuto che tale condizione non esentasse il datore dagli obblighi di formazione in materia di sicurezza sul lavoro previsti dall'articolo 37 del Dlgs 81/2008.
Il capo squadra, quindi, aveva agito nell'ambito delle funzioni assegnategli e del segmento di lavorazione attribuitogli, in assenza di adeguata e specifica formazione che avrebbe potuto scoraggiare l'impiego del mezzo non idoneo.
Pertanto, la Corte di cassazione ha condiviso le conclusioni sulla violazione dell'articolo 37 del Dlgs 81/2008 dei giudici di merito, secondo i quali il dipendente «nella qualità di preposto, soggetto al quale è anche destinata l'attività contemplata nella norma citata, avrebbe dovuto ricevere una formazione non limitata all'impiego della gru, ma indirizzata anche alla conoscenza dei fattori di rischio connessi alla lavorazione assegnatagli e, quindi, estesa anche alle ragioni per le quali la gru era il macchinario da utilizzarsi, come tale insostituibile per la sua esecuzione».
Profilo professionale ed esperienza della vittima
Da osservare, infine, che il datore di lavoro si era difeso anche sostenendo che, comunque, il gap formativo non si era verificato, considerato il profilo professionale e l'esperienza della vittima, maturata sul campo.
Ma i giudici non hanno condiviso nemmeno questa tesi difensiva, facendo rilevare che secondo consolidati principi affermati dalla stessa Cassazione «in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l'attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro».
Inoltre, «l’apprendimento insorgente dal fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non s'identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge» (in tal senso Cassazione sezione 4, 21242/2014).