La Cassazione torna sul minimale di contribuzione previdenziale dovuta nelle società cooperative
Consolidato e confermato in due recenti sentenze l’orientamento maturato nei precedenti interventi
La Sezione Lavoro, con due sentenze dell'8 giugno 16238 e 16260 torna a occuparsi del tema del minimale contributivo nelle società cooperative, consolidando e precisando l'orientamento maturato sul tema nei precedenti interventi.
Nel primo di questi interventi (Cassazione 16238/2023) si rileva che le disposizioni sull'imponibile previdenziale di cui all'articolo 12 della legge 153/19 (che rinvia all' articolo 51 del Testo unico 917/1986) e quelle sul minimale contributivo di cui all' articolo 1 del Dl 338/1989 (convertito in legge 389/1989) operano su due piani diversi. Nel primo caso si determinano le voci della retribuzione erogata che devono essere sottoposte a contribuzione e quelle che invece ne sono esenti. Il minimale contributivo detta invece una regola svincolata dall'omissione di eventuali voci retributive, dal momento che detta regola impone che qualunque sia la retribuzione, quella valida a fini contributivi (ossia l'imponibile su cui applicare l'aliquota di pertinenza), ossia l'imponibile su cui applicare l'aliquota di pertinenza, non può essere inferiore a un certo ammontare che la legge determina richiamando la contrattazione collettiva. Dal computo del minimale contributivo, peraltro, devono essere esclude le somme corrisposte a titolo di retribuzione indiretta, altrimenti sarebbe eluso l'obbligo di commisurare l'imponibile alla retribuzione oraria e giornaliera prevista dal contratto collettivo.
Nella seconda vicenda (Cassazione 16260/2023) invece la Corte di legittimità si occupa dell'annosa questione delle sospensioni concordate (per crisi aziendali o anche per permessi non retribuiti). Sul punto la giurisprudenza più recente rileva che spesso gli accordi individuali tra la Cooperativa e i lavoratori, in applicazione delle determinazioni regolamentari interne, non sono in sintonia con le ipotesi esonerative o eccettuative degli obblighi contributivi. Il problema che si pone è dunque quello di verificare se sia persistente l'obbligo contributivo anche in presenza di assenze del lavoratore nei casi di sospensione concordata che costituisca il risultato di un accordo non riconducibile alle ipotesi previste dalla legge o dal contratto collettivo. Secondo il principio del minimale contributivo, l'obbligo contributivo può essere parametrato a un importo superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro sotto il profilo dell'ammontare della retribuzione ma anche con riferimento all'orario di lavoro da prendere a parametro, orario che deve essere quello normale previsto dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale se superiore. Ciò per evitare che una retribuzione volta a remunerare meno ore rispetto a quelle previste dal normale orario di lavoro possa avere ripercussioni anche sulla violazione del minimale contributivo. Ebbene, secondo la Cassazione i datori di lavoro non possono modulare l'obbligo contributivo in funzione dell'orario o della stessa presenza al lavoro che sia stata frutto di un accordo con i dipendenti. L'obbligazione contributiva è svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta, e deve risultare predeterminabile, proprio per permettere all'ente previdenziale e agli uffici ispettivi di verificarne la congruità e rispetto dei parametri della contrattazione collettiva di riferimento. Sono quindi irrilevanti, ai fini contributivi, le assenze dei lavoratori o le sospensioni del rapporto in accordo tra le parti, e al di fuori delle ipotesi previste dalla legge o dal contratto collettivo di sospensione della prestazione lavorativa (malattia, maternità, infortunio, aspettative, permessi, cassa integrazione. Il punto di contatto tra il minimo contributivo e la retribuzione imponibile sta nel fatto che la retribuzione dovuta in relazione al sinallagma del rapporto di lavoro risulta rilevante solo se è superiore ai minimi risultanti dal contratto collettivo, perché altrimenti viene automaticamente adeguata alla misura minima determinata dal contratto collettivo. Fino al punto che la sussistenza di fatti impeditivi allo svolgimento del rapporto non imputabili al datore di lavoro, se può avere effetto sulle reciproche obbligazioni tra le due parti (prestazione del lavoro contro retribuzione), non ha alcun rilievo sull'obbligazione contributiva se non in quanto vi sia una clausola del contratto collettivo che assegna a tali evenienze la capacità di sospendere il rapporto di lavoro. Per quanto riguarda le cooperative, la regola del minimale si applica poi anche nel caso in cui sia deliberato lo stato di crisi, che comporti la retribuzione al di sotto dei limiti contrattuali, in quanto tale delibera non è fonte di disciplina della retribuzione minima.