La Cedu condanna l’Italia per l’Ilva: non ha protetto la salute dei cittadini
Un inquinamento prolungato nel tempo che ha messo a repentaglio non solo la salute dei ricorrenti, ma anche quella dell’intera popolazione tarantina.
È la Corte europea dei diritti dell’uomo a dirlo nella sentenza depositata ieri con la quale l’Italia è stata condannata per l’inquinamento provocato dall'Ilva e, in particolare, per non avere adottato misure in grado di tutelare il diritto dei ricorrenti a vivere in un ambiente salubre (ricorsi 54414/13 e 54264/15). E questo malgrado l’esistenza di studi scientifici sui danni provocati dall’inquinamento. Per Strasburgo, inoltre, lo Stato non ha fornito informazioni sulle misure per il risanamento e la bonifica del territorio interessato, non ha garantito una tutela giurisdizionale e, con i decreti “salva-Ilva”, ha di fatto concesso una immunità amministrativa e penale anche ai nuovi acquirenti.
A rivolgersi alla Corte europea sono stati 180 abitanti (difesi dagli avvocati Saccucci, Maggio, La Porta e Spera) delle zone flagellate da anni dalle emissioni del colosso siderurgico: a fronte di un groviglio normativo e giudiziario i residenti non hanno potuto far altro che provare ad ottenere giustizia a Strasburgo.
La Corte europea ha accolto il ricorso accertando la violazione dell’articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e dell’articolo 13 sulla tutela giurisdizionale effettiva. Strasburgo, chiarito che la violazione dell’articolo 8 si configura in presenza di un effetto nefasto sulla vita privata, e non solo per un degrado generale dell’ambiente, ha osservato che nel caso Ilva è evidente che l’inquinamento ha dato luogo «a conseguenze nefaste sul benessere dei ricorrenti interessati».
Gli Stati – osserva la Corte - hanno obblighi positivi e, soprattutto nei casi di attività pericolose, sono tenuti a mettere in campo una regolamentazione che si adatti alle specificità di queste attività, valutando il rischio che potrebbe derivarne. Per Strasburgo, l’Italia, intervenuta varie volte per assicurare, con il decreto “salva-Ilva”, la produzione, non ha adottato le misure necessarie a garantire il diritto a vivere in un ambiente salubre.
Accertata la violazione della Convenzione, la Corte ha respinto la richiesta dei ricorrenti per la liquidazione del danno non patrimoniale (concedendo 5mila euro a ciascun ricorrente per le spese), ma ha imposto allo Stato di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’ambiente e la salute della popolazione.
È vero che spetta al Comitato dei ministri indicare al Governo le misure necessarie per l’attuazione della sentenza ma, per la Corte, in ogni caso, lo Stato è tenuto a realizzare la bonifica dello stabilimento e del territorio colpito dall'inquinamento ambientale, azioni considerate urgenti e di primaria importanza. Nel più breve tempo possibile, inoltre, – ammonisce Strasburgo – l’Italia deve anche attuare il piano ambientale già approvato.