Rapporti di lavoro

La certificazione di parità di genere cambia la gestione dell’azienda

Consente di creare una rete di policy interne

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di Giulietta Bergamaschi

Nell’ambito delle ultime modifiche al Codice delle pari opportunità, la legge 162/2021 ha istituito la certificazione della parità di genere, oggetto del nuovo articolo 46-bis del Dlgs 198/2006, in vigore dal 3 dicembre 2021.

Si tratta di un riconoscimento – facoltativo e perciò riservato alle sole aziende interessate - che attesta le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.

La disciplina è poi stata completata dalla PdR 125:2022, adottata dall’Uni, che ha dettato i criteri per l’assegnazione della certificazione in favore delle micro, piccole, medie e grandi imprese.

Ancora, la legge 162/2021 prevede che il possesso della certificazione comporta vantaggi su più fronti: dagli esoneri contributivi ai punteggi premiali nell’ambito di procedure dirette all’aggiudicazione di contratti pubblici.

Benché i benefici connessi al conseguimento della certificazione rappresentino un profilo di prioritario interesse per le imprese, sembra comunque utile dare una chiave di lettura di tale istituto che vada oltre questo aspetto.

Infatti, al di là dei vantaggi, tra gli altri quelli economici e reputazionali, previsti in favore degli operatori certificati, è opportuno, anzitutto, precisare che la certificazione è uno strumento di organizzazione e gestione dell’azienda, ossia un mezzo che consente di creare una rete di policy interne dirette a garantire l’equilibrio di genere laddove prima non era adeguatamente presidiato.

In sintesi, ponendoci in tale ottica, possiamo dire che l’iter diretto al conseguimento della certificazione diventa un’ottima opportunità di crescita e di implementazione di azioni e iniziative virtuose in azienda.

In occasione del Welfare & HR Summit di quest’anno, Lexellent ha proposto un questionario rivolto alle imprese per testare il loro sentiment su tale nuovo istituto.

Il panel dei rispondenti ha confermato come la certificazione, a oggi, sia ancora in fase di prima attuazione, in quanto solo in rari casi già conseguita; al contempo, buona parte delle aziende ha però dichiarato di aver già avviato le iniziative propedeutiche a ottenere la certificazione.

Ancora, la survey evidenzia la percezione della certificazione come un motore di cambiamento culturale, dunque come un’attribuzione che non si esaurisce nel momento del suo riconoscimento formale, ma che comporta l’implementazione di un sistema di gestione progressivamente diretto a garantire il miglioramento e il mantenimento dei livelli di parità di genere.

Quanto poi alle figure presso cui la certificazione ha riscosso maggior interesse, i rispondenti hanno confermato che il tema ha per lo più destato l’attenzione presso i dipartimenti Hr, non anche presso gli organi amministrativi. Un dato, questo, da cui evincere che, in realtà, l’interpretazione della certificazione in chiave di strumento organizzativo non sembra nella prassi così diffusa; il che, magari, a beneficio della prioritaria importanza attribuita – come anticipato – ai vantaggi economici della certificazione.

La certificazione non si risolve in un mero adempimento amministrativo o burocratico, ma è auspicabile che la connotazione come strumento organizzativo venga da un lato fatta propria dalle aziende e dall’altro sostenuta dal legislatore, anche nell’ambito delle discipline di settore, per promuovere un sistema dotato di coerenza sotto il profilo normativo.

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