Contenzioso

Niente obbligo contributivo dalla dichiarazione dei redditi errata

di Matteo Prioschi

La presentazione di dichiarazioni dei redditi errate, di cui il contribuente chiede poi la correzione, non costituisce materiale con valore probatorio e non determina l'inversione dell'onere della prova per quanto riguarda l'obbligo di contribuzione all'Inps da parte di un socio accomandatario di una accomandita semplice.

Con l'ordinanza 21511/2018, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso di una imprenditrice che per più anni ha presentato dichiarazioni dei redditi errate in relazione alla sua posizione di socia accomandataria di una società presso cui non ha svolto alcuna attività. A fronte delle dichiarazioni dei redditi, però, l'Inps ha preteso il pagamento dei contributi in favore della gestione commercianti, anche se l'imprenditrice, una volta resasi conto degli errori, ha chiesto la rettifica delle stesse in autotutela all'agenzie delle Entrate e all'istituto di previdenza.

Il tribunale ha respinto la richiesta dell'Inps, mentre la Corte d'appello ha ritenuto che la rettifica delle dichiarazione sia stata presentata oltre il termine di decadenza (articolo 2 del Dpr 322/1998) «con conseguente consolidamento del titolo sottostante alla (legittima) pretesa creditoria dell'istituto» e che le dichiarazioni errate determinavano l'inversione dell'onere della prova. Cioè era l'imprenditrice a dover dimostrare di non aver svolto attività nella società, e non l'Inps a fare il contrario.

Quanto al termine per correggere gli errori, la Cassazione rileva che in, sede di contenzioso, il contribuente indipendentemente da modalità e termini della dichiarazione integrativa «può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione», non avendo quest'ultima carattere negoziale o dispositivo. Dato che il contribuente nel caso specifico ha evidenziato la presenza di errori nelle dichiarazioni, il giudice non avrebbe potuto attribuire alle stesse alcun valore di prova e tanto meno invertire l'onere della prova.

In relazione alle società in accomandita semplice la Suprema corte ricorda che «la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l'obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui prova è a carico dell'istituto assicuratore».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©