Non imponibili i rimborsi chilometrici casa-lavoro
I rimborsi chilometrici relativi al tragitto casa lavoro non sono imponibili se determinati con criteri oggettivi e analiticamente documentati poiché hanno natura restitutoria e non retributiva. Più precisamente, le spese di viaggio effettivamente sostenute per lo svolgimento dell’incarico di medico specialista presso gli ambulatori esterni non concorrono alla formazione del reddito di lavoro se parametrati al chilometraggio percorso e al costo del carburante rilevato.
In questo senso si espressa la Cassazione nell’ordinanza del 23634/2022 del 28 luglio scorso, consolidando lo stesso principio già affermato in precedenza e riguardante anche le spese di viaggio sopportate per raggiungere dalla propria residenza i vari distretti sanitari (Cassazioni 40860/2021 e 6793/2015).
Queste conclusioni, tuttavia, non coincidono con le indicazioni finora fornite dall’amministrazione finanziaria. In tema di trasferte, l’articolo 51, comma 5, del Tuir considera le indennità e i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale come imponibili per il dipendente. Fanno eccezione i rimborsi delle spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore.
Secondo l’amministrazione finanziaria non si può neppure riconoscere allo spostamento casa lavoro la dignità di trasferta, in quanto lo stesso non attiene alla sfera lavorativa. Tecnicamente, la trasferta è configurabile solo quando il lavoratore è chiamato a svolgere una attività fuori dalla sede di lavoro, indicata nella lettera o contratto di assunzione, che ne rappresenta l’unico punto di riferimento anche per definirne l’ampiezza, ovvero se è all’interno o all’esterno del territorio comunale.
Peraltro, nella circolare 326/ 1997 il Mef sostiene che la scelta del legislatore in tema di trasferte sia stata influenzata dalla considerazione che per i lavoratori dipendenti è comunque prevista una specifica detrazione d’imposta che tiene conto degli oneri inerenti alla produzione del reddito.
Di diverso avviso sono i giudici di legittimità, i quali ritengono che le spese di viaggio rimborsate, individuate sulla base di criteri oggettivi e parametrate al numero dei chilometri e al costo del carburante, abbiano funzione restitutoria e di ripristino del patrimonio del prestatore d’opera non avendo natura di retribuzione, né essendo dunque assoggettabili a tassazione.
Il discrimine sta proprio nella modalità di quantificazione di tali rimborsi, che non possono essere determinati in modo forfetario, a pena di soggiacere alla loro piena imponibilità.
Considerato che la detrazione d’imposta riconosciuta ai dipendenti ha ormai perso l’originario compito e che attualmente ricopre la funzione di accentuare la progressività del prelievo fiscale (come desumibile anche dalla complessa formula per determinarla), forse i tempi sono maturi per poter sostenere che l’inciso «i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore» (comma 5, articolo 51 del Tuir) possa ricomprendere anche quelli documentati analiticamente dal lavoratore se determinati in base a parametri oggettivi.