La partecipazione è in effetti una realtà contrattuale già consolidata; la maggior parte delle previsioni contrattuali di livello nazionale si limita alla partecipazione tramite informazione e consultazione piuttosto che far riferimento a meccanismi realmente di co-gestione, mentre, dal punto di vista tematico, la partecipazione si concentra prevalentemente su questioni relative alla organizzazione del lavoro
Un attento osservatore delle relazioni industriali come Dario Di Vico, riferendosi alla possibile ed imminente approvazione del disegno di legge promosso dalla Cisl in materia di partecipazione dei lavoratori, ha parlato di un indubbio successo politico; il rischio, però, è che nella realtà dei luoghi di lavoro si tratti solo di una vittoria di facciata, perché la scelta sulla partecipazione dei lavoratori, nella proposta legislativa uscita dal dibattito alla Camera, rimane saldamente nelle mani dell'imprenditore. Il ruolo della contrattazione collettiva, sempre per Di Vico, è destinato a rimanere sullo sfondo e nei fatti sarà del tutto marginale (Corriere della Sera, 17 febbraio 2025, Meloni e il sindacato. La conta dei rischi).
Il disinteresse mostrato dal legislatore, oltre che dal dibattito politico-sindacale, nei confronti della contrattazione collettiva è in effetti quanto mai singolare se si pensa che oggi l'unico ambito in cui la partecipazione trova una regolazione concreta sono proprio i contratti collettivi di lavoro (tanto a livello nazionale che aziendale). Di questa ricca casistica contrattuale si sa tuttavia ancora ben poco, nonostante il crescente interesse registrato dai pochi osservatori (in genere sindacali) che si fanno carico del monitoraggio sistematico della contrattazione collettiva. Secondo il Ministero del Lavoro, l'11,4% degli oltre 10.500 contratti decentrati vigenti prevede forme di partecipazione (dato stabile negli ultimi cinque anni), mentre i contratti che disciplinano produttività e welfare sono nettamente superiori (rispettivamente 78,3% e 59,9%). Questi dati trovano conferma anche dall'osservatorio "FareContrattazione" di ADAPT, che raccoglie e analizza con continuità la contrattazione aziendale e settoriale, offrendo una panoramica concreta sulle dinamiche delle relazioni industriali in Italia.
Nonostante le resistenze culturali e il disinteresse legislativo, la partecipazione è in effetti una realtà contrattuale già consolidata. Lo stesso Patto della Fabbrica tra Confindustria e CGIL, CISL, UIL del 2018 aveva già indicato la partecipazione come un pilastro di un moderno sistema di relazioni industriali, e gli accordi collettivi lo hanno recepito, seppur con una effettività limitata. Nei settori più avanzati, come il metalmeccanico e il chimico-farmaceutico, la partecipazione si concretizza in strumenti soft (Osservatori aziendali, Commissioni paritetiche, Comitati). La maggior parte delle previsioni contrattuali di livello nazionale si limita infatti alla partecipazione tramite informazione e consultazione piuttosto che far riferimento a meccanismi realmente di co-gestione. Nel settore metalmeccanico, la contrattazione aziendale mostra un dinamismo significativo: il 67% degli accordi esaminati dai rapporti ADAPT sulla contrattazione contiene previsioni in materia di partecipazione, anche se solo nel 7% dei casi si tratta di forme di co-determinazione. Le pratiche più diffuse prevedono la costituzione di Commissioni aziendali (36% dei casi) e strumenti di monitoraggio e verifica. Esempi concreti si trovano in aziende come Brembo, Piaggio, Toyota e Ducati, che hanno istituito Commissioni tecniche paritetiche per il miglioramento dei processi produttivi, la formazione e l'organizzazione del lavoro. Strutturato anche il modello partecipativo del settore chimico-farmaceutico, dove il CCNL ha introdotto l'obbligo di costituire Osservatori aziendali per le imprese con più di 50 dipendenti. Questi organismi hanno una funzione consultiva e si occupano di temi come formazione, lavoro agile, riqualificazione professionale e innovazioni tecnologiche. Tra le aziende che hanno adottato strumenti partecipativi più avanzati si segnalano Bayer, Johnson & Johnson e Fater, che hanno implementato Osservatori e gruppi di lavoro dedicati alla gestione dell'orario di lavoro e della formazione.
Dal punto di vista tematico, la partecipazione si concentra prevalentemente su questioni relative alla organizzazione del lavoro - orario di lavoro e smart working (circa il 30% degli accordi), formazione e riqualificazione professionale (circa il 30% degli accordi), classificazione del personale (15%) - intesa dalle parti, datori di lavoro inclusi, come ambito privilegiato per la collaborazione dei lavoratori che (benché i titoli di giornali siano dedicati esclusivamente a partecipazione economica e strategica) apprezzano il coinvolgimento su queste materie quanto (e forse più) di una poltrona assegnata al sindacalista in un consiglio di amministrazione. In alcuni casi, gli accordi aziendali prevedono meccanismi di partecipazione diretta, come la cassetta delle idee (presente però solo nel 7% degli accordi), che consente ai lavoratori di avanzare proposte migliorative sulla produttività e l'efficienza. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle esperienze di partecipazione rimane mediata dalle rappresentanze sindacali, che non vengono scavalcate da queste prassi come temuto da qualcuno, ma anzi ne detengono il pieno controllo e indirizzo strategico.
In conclusione si può ben ritenere che se il dibattito pubblico e il legislatore si soffermassero meno su astratte dichiarazioni di principio o bandiere politiche e più sulla realtà concreta delle relazioni di lavoro nelle aziende, emergerebbe con maggiore chiarezza il ruolo centrale della contrattazione collettiva nelle pratiche di partecipazione dei lavoratori. Probabilmente, si avrebbe anche meno paura della partecipazione, intesa non come una imposizione ideologica alla proprietà della azienda, ma come uno strumento pragmatico di miglioramento delle condizioni di lavoro, della qualità e produttività del lavoro e, dunque, anche della competitività delle imprese.