ApprofondimentoContenzioso

Permesso ex legge 104/1992 e valutazione dello sviluppo orario

di Pasquale Dui e Luigi Antonio Beccaria

N. 20

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Sia il dato testuale, sia la ratio legis della legge “104”, confortano l’interpretazione secondo cui il permesso, che, occorre ricordare, è frazionabile anche in ore, debba corrispondere alle ore di lavoro non prestato, e che una diversa condotta integra violazione del principio di buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro (che non beneficia della prestazione), sia nei confronti dell’INPS (che materialmente ne eroga il corrispettivo), di talché, in ipotesi di insussistenza del nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, si è in presenza di un abuso del diritto

Massima

  • Permesso legge 104/1992 – assistenza che legittima il beneficio – intervento assistenziale di carattere permanente – necessità – carenza del nesso causale – doveri di correttezza e buona fede – violazione grave – sussiste

    In tema di congedo straordinario, l’assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità di cui all’art. 3, comma 3, della l. n. 104 del 1992 un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione; pertanto, ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo.

I fatti di causa

Nel novembre del 2017, un lavoratore, a seguito del rituale esperimento della procedura di cui all’art. 7 st. lav., veniva licenziato per giusta causa, dopo che gli erano state contestate, da parte della banca ex datrice di lavoro, una serie di condotte elusive rispetto alle finalità assistenzialistiche dei permessi di cui alla l. 104/1992, accertate a seguito di investigazioni private commissionate dal datore di lavoro.

Il lavoratore impugnava giudizialmente il predetto provvedimento; tuttavia, l...

  • [1] Sul punto si richiama la pronuncia Cass. n. 7090/2022, che ha espresso la seguente massima di diritto: “In seguito alla riformulazione dell’ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , disposta dall’ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 , conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 , non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’ art. 111, comma 6, Cost. , che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.”

  • [2] Di seguito la massima espressa da Cass. n. 19580/2019, in tema di congedo straordinario, disciplinato dalla medesima normativa, e sussumibile alla medesima ratio legis: “In tema di congedo straordinario ex art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, l’assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità di cui all’art. 3, comma 3, della l. n. 104 del 1992 un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione; pertanto, ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo.”