Quattro requisiti per il mobbing lavorativo
Il datore di lavoro pubblico è anche chiamato ad assicurare legittimità e trasparenza dell’azione amministrativa
Per potersi parlare di mobbing lavorativo, è necessaria la sussistenza congiunta di quattro requisiti, riepilogati dalla Corte di cassazione nel tentativo di fare chiarezza su un argomento dai confini ancora troppo poco chiari (ordinanza 35235/2022 del 30 novembre).
Innanzitutto, è indispensabile che la condotta esaminata si configuri come una serie di comportamenti persecutori, posti in essere sistematicamente e reiteratamente da parte del datore di lavoro, di un suo preposto o di altri colleghi nei confronti di un certo lavoratore, con intento vessatorio e indipendentemente dal fatto che, singolarmente considerati, tali comportamenti si configurino come leciti.
In secondo luogo, è necessario che si verifichi una lesione della salute, della personalità o della dignità del lavoratore.
Inoltre, occorre che il pregiudizio all'integrità psico-fisica o alla dignità della vittima sia causalmente correlato ai comportamenti persecutori.
Infine, vi deve essere un intento persecutorio che lega e accomuna tutti i comportamenti lesivi del dipendente.
Un aspetto importante, da porre in evidenza e sottolineato anche dalla Corte di cassazione, è la circostanza che l'elemento qualificante del mobbing lavorativo risiede nell'intento persecutorio che unifica i diversi comportamenti posti in essere e non va ricercato nella legittimità o nell'illegittimità della singola azione. Pertanto è principalmente sulla persecuzione complessivamente considerata che devono concentrarsi la prova del dipendente che assuma di essere stato mobbizzato e, di conseguenza, l'indagine del giudice.
A fronte di ciò, è comunque vero che la legittimità del singolo comportamento può assumere rilievo; si tratta, tuttavia, di un rilievo solo indiretto che può sì risultare sintomatico dell'assenza dell'elemento soggettivo alla base della condotta unitariamente considerata, ma solo ove manchino elementi probatori di segno contrario.
Nel caso specifico, il mobbing era contestato nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico, circostanza che ha permesso alla Corte di cassazione di fare un'ulteriore specificazione. Per i giudici, in particolare, nella valutazione circa la sussistenza o meno di un intento persecutorio, non può non considerarsi l'eventuale natura pubblica del datore di lavoro, considerato che, se questa sussiste, opera l'articolo 97 della Costituzione che impone alla parte datoriale di intervenire per assicurare l'efficienza, la legittimità e la trasparenza dell'azione amministrativa.
Va infine detto che, in ogni caso, anche laddove le diverse condotte, unitariamente considerate, non risultino complessivamente idonee a configurare un'ipotesi di mobbing lavorativo, non è detto che le stesse, singolarmente considerate, non possano essere valutate come causa di una diversa fonte di responsabilità, il cui accertamento, peraltro, non è precluso dall'eventuale originaria prospettazione della domanda giudiziale in termini di danno da mobbing.