Contenzioso

Rassegna di Cassazione

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a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Trasferimento ramo d'azienda: autonomia funzionale e preesistenza del ramo
Fusione societaria e contratto collettivo applicabile
Mansioni promiscue e dritto al superiore inquadramento
Durata della contrattazione collettiva
Appalto e responsabilità solidale del committente

Trasferimento ramo d'azienda: autonomia funzionale e preesistenza del ramo

Cass. Sez. Lav., 10 dicembre 2021, n. 39394

Pres. Raimondi; Rel. Ponterio; Ric. N.L.; Controric. T.I. S.p.A.

Trasferimento ramo d'azienda – Autonomia funzionale e preesistenza – Necessità – Fondamento

Ai fini del trasferimento di ramo d'azienda previsto dall'art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall'art. 32 del d.lgs. n. 276 del 2003, costituisce elemento costitutivo della cessione l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione. L'elemento costitutivo dell'autonomia funzionale va quindi letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza, e ciò anche in armonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo la quale l'impiego del termine "conservi" nell'art. 6, par. 1, commi 1 e 4 della direttiva 2001/23/CE, "implica che l'autonomia dell'entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento" (Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C-458/12; Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C- 664/2017).

NOTA

Il Tribunale di Roma ha respinto la domanda proposta dal lavoratore, volta alla declaratoria di illegittimità del contratto di cessione di ramo d'azienda, sul rilievo che il ricorrente avesse prestato acquiescenza alla cessione del contratto di lavoro. La Corte d'appello di Roma, adita dal lavoratore, ha respinto l'appello ma con diversa motivazione: «ha escluso l'avvenuta acquiescenza alla cessione del contratto di lavoro per mutuo consenso; ha interpretato l'art. 2112 cod. civ., come modificato dall'art. 32, d.lgs. n. 276 del 2003, ritenendo non più necessari, ai fini della legittima cessione di ramo di azienda, il requisito della preesistenza della articolazione funzionalmente autonoma e la necessità che il ramo ceduto conservasse, a seguito del trasferimento, la propria identità; ha affermato che fosse onere del lavoratore provare l'illegittimità della cessione e che il predetto non avesse allegato e provato tale elemento costitutivo del diritto azionato». Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, per violazione o falsa applicazione degli artt. 2112, 1406 e 2697 cod. civ. Il ricorrente, richiamando i precedenti di legittimità, ha sostenuto che «l'art. 2112 cod. civ. costituisca eccezione alla regola generale, di cui all'art. 1406 cod. civ., che richiede il consenso del lavoratore ai fini della cessione del contratto e che sia pertanto onere di chi intende avvalersi degli effetti previsti dall'art. 2112 cod. civ. dimostrare la sussistenza dei presupposti della legittima cessione di azienda o di ramo d'azienda». La Corte di legittimità ha accolto il ricorso richiamando l'orientamento assolutamente univoco secondo cui «ai fini del trasferimento di ramo d'azienda previsto dall'art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall'art. 32 del d.lgs. n. 276 del 2003, costituisce elemento costitutivo della cessione l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione. L'elemento costitutivo dell'autonomia funzionale va quindi letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza, e ciò anche in armonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia».La Corte ha quindi cassato la sentenza della Corte d'Appello rilevando l'erroneità dell'affermazione ivi contenuta secondo cui «l'intervento riformatore da un lato ha eliminato la necessità di autonomia funzionale –preesistente come tale al trasferimento–; dall'altro, ha escluso che il ramo d'azienda debba conservare, a seguito del trasferimento medesimo, la propria identità».Infine, i giudici di legittimità, con riferimento all'onere della prova, rilevando anche qui l'erroneità della sentenza impugnata, hanno affermato che «incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall'art. 2112 c.c., che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall'art. 1406 c.c., fornire la prova dell'esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l'operatività; grava, cioè, sulla società cedente l'onere di allegare e provare l'insieme dei fatti concretanti un trasferimento di ramo d'azienda».

F usione societaria e contratto collettivo applicabile

Cass. Sez. Lav., 10 dicembre 2021, n. 39395

Pres. Raimondi; Rel. Ponterio; Ric. A.F.; Controric. A.N.M. S.p.A.

Fusione per incorporazione – Art. 2112 c.c. – Trasferimento d'azienda – Contratto collettivo applicabile – Della società incorporante – Legittimità – Fondamento – Limiti

In caso di fusione di una società con un'altra si verifica, nel regime anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 6 del 2006, una successione a titolo universale e, quanto ai rapporti di lavoro, opera la disciplina di cui all'art. 2112 c.c., sicché i dipendenti transitati sono soggetti al contratto collettivo applicabile presso la società incorporante, anche se più sfavorevole, atteso il loro inserimento nella nuova realtà organizzativa e nel mutato contesto di regole, anche retributive, potendo trovare applicazione l'originario contratto collettivo nel solo caso in cui presso l'incorporante i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva.

NOTA

La Corte d'Appello di Napoli, confermando la sentenza resa dal giudice di primo grado, giudicava legittima la richiesta della Società cessionaria di incrementare l'orario lavorativo settimanale osservato dai dipendenti transitati alle proprie dipendenze da 34 a 39 ore, sulla base delle previsioni contenute nel nuovo CCNL applicato. Secondo la Corte distrettuale, infatti, la disciplina in materia di trasferimento d'azienda vigente ratione temporis consente al cessionario di sostituire la precedente normativa collettiva applicata dal cedente con un diverso accordo negoziale, anche laddove lo stesso risulti più sfavorevole per le parti lavoratrici.Contro la predetta statuizione ha promosso ricorso in cassazione il lavoratore lamentando l'erronea applicazione dell'art. 2112 c.c., come modificato dalla normativa uni-europea, non potendo il cessionario sostituire la fonte collettiva, regolativa dei rapporti di lavoro, nelle ipotesi in cui la stessa comporti un peggioramento retributivo e normativo rispetto al trattamento goduto dai prestatori coinvolti nella vicenda circolatoria.Nel rigettare il ricorso, la Corte Suprema di Cassazione ha ribadito come: «in caso di fusione di una società con un'altra si verifica, nel regime anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 6 del 2006, una successione a titolo universale e, quanto ai rapporti di lavoro, opera la disciplina di cui all'art. 2112 c.c., sicché i dipendenti transitati sono soggetti al contratto collettivo applicabile presso la società incorporante, anche se più sfavorevole». Inoltre, secondo i giudici di legittimità: «Il peggioramento retributivo e normativo che si pone in contrasto con l'art. 2112 c.c., interpretato in conformità alla direttiva e alle pronunce della Corte di Giustizia, è quello che risulti all'esito di una valutazione globale», non potendo essere dedotto «dal solo dato del più elevato orario di lavoro osservato presso il cessionario, a retribuzione invariata».

Mansioni promiscue e dritto al superiore inquadramento

Cass. Sez. Lav., 30 dicembre 2021, n. 41996

Pres. Manna; Rel. Negri Della Torre; Ric. F.N.M.; Controric. A.S.U.R.M.

Lavoro subordinato – Mansioni superiori – Accertamento trifasico – Accertamento di fatto delle attività – Individuazione qualifiche CCNL – Confronto delle due indagini – NecessitàLavoro subordinato – Mansioni promiscue (mansioni proprie e mansioni superiori) – Diritto al superiore inquadramento – Giudizio di prevalenza – Comparazione qualitativa e non quantitativa – Necessità

Il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell'accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini.In caso di mansioni promiscue, ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l'individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore, la prevalenza – a questo fine – non va determinata sulla base di una mera contrapposizione quantitativa delle mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, della mansione maggiormente significativa sul piano professionale, purché non espletata in via sporadica od occasionale.

NOTA

Nel caso di specie il lavoratore, assunto come accalappiacani presso azienda sanitaria e inquadramento nel livello B del CCNL pubblico impiego – comparto sanità, aveva agito per ottenere il riconoscimento di mansioni superiori rientranti nel livello C del CCNL con le relative differenze retributive nonché al fine di vedersi riconosciute le indennità di rischio in virtù dello svolgimento di attività di polizia sanitaria e di affiancamento al veterinario durante gli interventi chirurgici (per esposizione a radiazioni).Le richieste del lavoratore venivano integralmente respinte dalla Corte territoriale investita della questione.Contro tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il lavoratore sostenendo che la Corte territoriale avesse errato nel valutare l'attività di assistenza al veterinario non prevalente, nel ritenere non sussistenti le mansioni di polizia sanitaria in contrasto con le note interne prodotte e l'effettivo espletamento delle stesse accertato in giudizio oltre che nel non aver compiutamente e specificamente valutato tutte le attività svolte in corso di rapporto. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. In particolare la stessa ha ritenuto che la Corte territoriale si fosse correttamente attenuta al principio di diritto che prevede la necessità, in caso di giudizio circa l'inquadramento del lavoratore subordinato, dello svolgimento di un'indagine trifasica che preveda l'accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, l'individuazione delle qualifiche previste dal contratto collettivo di categoria e, infine, il raffronto tra i risultati di tali accertamenti.Nello specifico la Corte aveva rilevato che le attività svolte dal ricorrente rientravano tutte nel livello B del CCNL non travalicandone i limiti.Allo stesso modo, sempre secondo la Cassazione, la Corte d'Appello aveva fatto corretta applicazione del principio per cui in caso di mansioni promiscue la prevalenza, utile per determinare la categoria di appartenenza del lavoratore, non va determinata su una base meramente quantitativa ma individuando la mansione maggiormente significativa sul piano professionale sulla base di un'analisi qualitativa. Dall'applicazione di tale principio era emersa la non prevalenza delle attività di assistenza al veterinario e, conseguentemente, l'insussistenza del diritto alla relativa indennità.Correttamente, infine, era stato ritenuto non provato lo svolgimento di attività di polizia sanitaria non rientrando tra queste le attività emerse ed accertate in corso di causa.

Durata della contrattazione collettiva

Cass. Sez. Lav., 16 dicembre 2021, n. 40409

Pres. Tria; Rel. De Cinque; Ric. P.I S.r.l.; Controric. D.A. – L.M.

Contrattazione collettiva separata – Efficacia soggettiva – Limitata alle OO.SS. stipulantiContrattazione collettiva di diritto comune – Durata – Efficacia nell'ambito temporale concordato dalle parti – Ammissibilità – Ultrattività "de iure" – Esclusione Contrattazione collettiva – Durata – Termine finale connesso ad un evento futuro – Ammissibilità – Durata "fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL" – Ammissibilità – Libera recedibilità – Inammissibilità

Nel caso in cui un nuovo contratto collettivo sia firmato solo da una parte delle sigle sindacali firmatarie del precedente accordo, non può ritenersi efficace, nei confronti dei lavoratori, il CCNL stipulato da sigle diverse da quelle cui essi risultano iscritti. Dunque, se l'accordo modificativo non è stato sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali che avevano aderito al precedente accordo collettivo, l'accordo separato ha un'efficacia soggettiva limitata alle parti che lo hanno sottoscritto, mentre le altre restano legate al precedente accordo ancora in vigore.I contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell'autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l'ambito temporale concordato dalle parti, considerato che l'opposto principio di ultrattività sino ad un nuovo regolamento collettivo – secondo la disposizione dell'art. 2074 c.c. – si pone in contrasto con l'intento espresso dagli stipulanti e rappresentando un limite alla libera volontà delle OO.SS., violerebbe la garanzia prevista dall'art. 39 Cost. In tema di durata della contrattazione collettiva, è legittimo un termine finale privo di una precisa collocazione cronologica, ma comunque connesso ad un fatto che si verificherà certamente secondo un calcolo di probabilità effettuato dalle parti. La locuzione "fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL" sta a indicare appunto la volontà delle parti originariamente stipulanti a vincolarsi al contenuto del contratto sottoscritto fino alla nuova negoziazione e sottoscrizione.

NOTA

Due lavoratori, infermieri operanti all'interno del reparto RSA della Casa di Cura gestita dalla società datrice di lavoro, adivano l'autorità giudiziaria lamentando l'illegittima applicazione nei loro riguardi di un nuovo contratto collettivo che la propria O.S. non aveva voluto siglare e rivendicando l'applicazione del precedente accordo collettivo cui, per il tramite del proprio sindacato, essi avevano aderito. In particolare, in data 22.3.2012, l'AIOP (quale associazione di parte datoriale) aveva proceduto a siglare, con una serie di organizzazioni sindacali diverse da quelle con le quali era stato sottoscritto il primo contratto collettivo per il personale dipendente delle RSA, un nuovo contratto collettivo – non firmato da CGIL (sindacato cui i lavoratori erano iscritti), CISL e UIL – il quale si dimostrava fortemente peggiorativo rispetto alle condizioni lavorative previste dal primo. I ricorrenti specificavano, altresì, che a seguito delle diffide delle OOSS non firmatarie a non applicare il nuovo CCNL, l'AIOP aveva dapprima comunicato formale disdetta del primo contratto (CCNL 2002-2005), con esclusivo riguardo al personale RSA e, poi, dal 20.7.2012, la società datrice aveva applicato il nuovo CCNL a tutto il personale delle RSA, mentre gli altri dipendenti avevano continuato a fruire di quello precedente più favorevole. Il Tribunale adito e la Corte territoriale accoglievano la domanda dei lavoratori rilevando che non poteva ritenersi efficace nei confronti dei dipendenti RSA il CCNL stipulato da sigle diverse da quelle a cui gli stessi erano iscritti, per l'evidente dissenso manifestato; ciò soprattutto in considerazione del fatto che il primo contratto era ancora vigente (per altra tipologia di personale) e non si era trattato di una sostituzione, sicchè le organizzazioni sindacali non firmatarie dovevano ritenersi legate al precedente accordo, in applicazione delle regole generali che governano l'efficacia soggettiva dei contratti collettivi.Avverso la decisione della Corte territoriale la società proponeva ricorso per Cassazione, articolato in plurimi motivi.Innanzitutto, la società ricorrente evidenziava l'impossibilità di applicare al personale delle RSA il precedente contratto collettivo, dal momento che la società era iscritta all'associazione sindacale AIOP e che quindi aveva il dovere, in quanto iscritta, di applicare il relativo contratto collettivo (CCNL AIOP RSA del 2012) ai lavoratori che prestavano la loro attività nel distinto settore RSA, a prescindere dalla loro iscrizione ad un diverso sindacato o dalla loro mancanza di iscrizione ad un sindacato. Inoltre, la società sottolineava che la Corte territoriale aveva sottovalutato la volontà espressa nei contratti individuali che rinviando genericamente al contratto collettivo AIOP vigente, imponevano l'applicazione ai lavoratori del nuovo CCNL AIOP RSA del 2012, dal momento che il precedente CCNL AIOP del 2005 era stato disdettato e comunque non era più efficace.In ogni caso, la società evidenziava anche che l'organizzazione datoriale AIOP aveva validamente disdettato il precedente CCNL AIOP, per la parte relativa ai lavoratori delle RSA, peraltro in un momento in cui il contratto collettivo si presentava scaduto, e quindi liberamente recedibile anche dal singolo datore di lavoro in quanto operante in regime di ultrattività.La Suprema Corte considera il ricorso infondato.Per ciò che riguarda le prime censure, concernenti specificamente la tematica dell'efficacia soggettiva dei CCNL e la conseguente efficacia di accordi separati, la Suprema Corte richiama il principio secondo cui l'art. 2070 c.c., comma 1 non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente abbiano prestato adesione al contratto. I soggetti privati datori o prestatori di lavoro sono quindi liberi di associarsi sindacalmente e, attraverso l'iscrizione ad un'associazione di loro scelta, di determinare il contratto collettivo destinato ad incidere sul rapporto individuale di lavoro. L'attività economica esercitata dall'impresa non ha più rilevanza, costituendo un mero dato obiettivo destinato a valere soltanto in mancanza di volontà delle parti.Proprio alla luce di questo principio, secondo la S.C., non può ritenersi efficace nei confronti dei lavoratori il CCNL stipulato da sigle diverse da quelle in cui essi risultano iscritti. Tale conclusione, peraltro, è a fortiori giustificata, nella fattispecie, da due ulteriori elementi: in primo luogo, i lavoratori hanno manifestato in maniera espressa il proprio dissenso nei confronti del nuovo CCNL; in secondo luogo, il nuovo CCNL AIOP non ha sostituito il precedente CCNL, che risulta ancora oggi vigente per altra tipologia di personale. Dal momento che l'accordo modificativo non è stato sottoscritto da tutte le OO.SS. che avevano aderito al precedente accordo collettivo, può quindi affermarsi che l'accordo separato ha un'efficacia soggettiva limitata alle parti che lo hanno sottoscritto, mentre le altre restano legate al precedente accordo ancora in vigore.Per ciò che riguarda gli altri motivi di doglianza, che attengono invece alla problematica della efficacia temporale del CCNL del 2002 e alla possibilità di una sua disdetta, la S.C. fornisce alcune delucidazioni molto rilevanti in materia.Innanzitutto la S.C. richiama il principio generale secondo cui i contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell'autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l'ambito temporale concordato dalle parti, considerato che l'opposto principio di ultrattività sino ad un nuovo regolamento collettivo – secondo la disposizione dell'art. 2074 c.c. – si pone in contrasto con l'intento espresso dagli stipulanti e rappresentando un limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, violerebbe la garanzia prevista dall'art. 39 Cost. Dunque i contratti collettivi post-corporativi, costituendo manifestazione dell'autonomia negoziale privata, sono regolati dalla libera volontà delle parti cui spetta in via esclusiva di stabilire se l'efficacia di un accordo possa sopravvivere alla sua scadenza con la conseguenza che la cessazione dell'efficacia dei contratti collettivi, coerentemente con la loro natura pattizia, dipende quindi dalla scadenza del termine ivi stabilito.Secondo la S.C., nel caso di specie, le parti collettive hanno previsto una specifica "scadenza" ultrattiva del contratto, stabilendo la perdurante vigenza dell'accordo collettivo AIOP 2005 fino alla nuova stipulazione. Anzi, secondo la S.C., questa "data" di scadenza (i.e. la "nuova stipulazione") si presenta come un termine finale (e non come una condizione) perchè, seppur priva di una precisa collocazione cronologica, è comunque connessa ad un fatto che si verificherà certamente secondo un calcolo di probabilità effettuato dalle parti. La locuzione "fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL", in altre parole, sta a indicare appunto la volontà delle parti originariamente stipulanti a vincolarsi al contenuto del contratto sottoscritto fino alla nuova negoziazione e sottoscrizione. La qualificazione di quella "data" di scadenza come termine finale vale a differenziare nettamente, per il Collegio, la fattispecie in esame dall'ipotesi di contratto collettivo privo di un predeterminato termine di efficacia. Invero, un contratto collettivo sprovvisto di un termine di scadenza è liberamente recedibile in quanto non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perchè finirebbe per comportare uno svilimento anche della causa e della funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione. Se, invece, come nel caso di specie, l'accordo collettivo non è sprovvisto di un termine finale ma al contrario lo prevede, seppur collocandolo in un tempo "incerto" nel quando, non è possibile recedere liberamente dall'accordo, non essendosi verificato l'evento certo cui le parti hanno correlato la cessazione dei suoi effetti.

Appalto e responsabilità solidale del committente

Cass. Sez. Lav., 14 dicembre 2021, n. 39997

Pres. Raimondi; Rel. Pagetta; Ric. U.F.L. S.p.A.; Controric. I.N.P.S.; Intimati S.D. e G.S. S.n.c.

Appalto – Crediti retributivi e contributivi dei dipendenti dell'appaltatore del subappaltatore e del subfornitore – Responsabilità solidale del committente – Sussiste

In tema di appalto di servizi, sussiste la responsabilità solidale del committente non solo per i crediti retributivi e contributivi dei dipendenti dell'appaltatore e del subappaltatore ma anche per quelli dei dipendenti del subfornitore.

NOTA

La Corte di Appello di Genova confermava la sentenza di primo grado che, accertata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il lavoratore e la società datrice di lavoro, aveva condannato in solido, ai sensi dell'art. 29 del D. Lgs. n. 276/2003, la datrice di lavoro e la società committente dell'appalto avente ad oggetto l'espletamento del servizio di trasporto nel quale era stato impiegato il S., al pagamento in favore di quest'ultimo della somma di Euro 5.179,74, oltre accessori, a titolo di differenze retributive e al pagamento all'INPS dei contributi dovuti per legge, oltre interessi e sanzioni civili.Secondo la Corte d'Appello il chiaro tenore dell'art. 29 del D. Lgs. n. 276/2003 non consentiva di ipotizzare alcun esonero dalla responsabilità solidale della società committente per il fatto che «dalle visure camerali il S., impiegato quale autista nell'ambito del servizio di trasporto di medicinali appaltato dall'U. F. L. s.p.a. alla G. S., figurava essere socio della società e non suo dipendente, risultando, anzi, la G. S. non avere dipendenti».Inoltre la Corte territoriale precisava che era priva di rilievo la circostanza che «lo stesso lavoratore avesse concorso a dar luogo alla simulazione del proprio rapporto lavorativo, non sussistendo in atti elementi dai quali inferire che il S. avesse intenzionalmente sottoscritto il contratto di cessione delle quote sociali al fine di trarre in inganno la committente in accordo con la G. S. né essendosi questo mai rapportato alla committente come socio amministratore della società».La società datrice di lavoro impugnava, quindi, la sentenza di secondo grado.La Suprema Corte rigetta il ricorso della società datrice di lavoro, precisando che la Corte Costituzionale – «nel ritenere infondata la questione di costituzionalità dell'art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, prospettata in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. nella parte in cui non estende la garanzia della responsabilità solidale del committente per i crediti retributivi e contributivi dei dipendenti dell'appaltatore e del subappaltatore anche ai crediti dei dipendenti del subfornitore» – ha chiarito che la ratio dell'introduzione della responsabilità solidale del committente, che sarebbe «quella di evitare che i meccanismi di decentramento produttivo e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell'esecuzione del contratto commerciale», non giustifica l'esclusione (contraria al precetto dell'art. 3 Cost.) di tale garanzia nei confronti dei dipendenti del subfornitore, atteso che «la tutela del soggetto che assicura una attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento, e vieppiù a quello dell'impresa subfornitrice, connotata da strutturale debolezza».

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