Rassegna di Cassazione
Trasferimento d'azienda e licenziamento
Licenziamento per superamento del periodo di comporto
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Licenziamento per superamento del periodo di comporto
Licenziamento collettivo
Trasferimento d'azienda e licenziamento
Cass. Sez. Lav., 7 marzo 2022, n. 7391
Pres. Tria; Rel. Garri; P.M. Sanlorenzo; Ric. G.C.M.; Contr. S.D. S.p.A.
Trasferimento d'azienda – Licenziamento irrogato prima del trasferimento – Intento elusivo dell'art. 2112 comma 4 cod. civ. – Licenziamento nullo – Sussistenza
Alla luce dell'art. 2112, comma 4, cod. civ. il trasferimento di azienda non può costituire l'unica ragione giustificativa del licenziamento. In sostanza è nullo il recesso che si fondi in via esclusiva sulla connessione con il passaggio da un soggetto ad un altro di un servizio e si realizzi (come nella specie) attraverso una nuova assunzione, con contratto a tempo determinato e con apposizione del patto di prova, del personale già in servizio presso la società incaricata della gestione della medesima attività. In altre parole, per escludere l'applicazione dell'art. 2112 cod. civ. è necessario accertare se, per la sua connessione causale e temporale, il licenziamento non trovi la sua ragione d'essere esclusiva proprio nel trasferimento di azienda.
NOTA
La Corte d'Appello di Palermo, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda con cui il Lavoratore aveva chiesto di accertare l'intervenuto trasferimento d'azienda e la prosecuzione del rapporto a tempo indeterminato alle dipendenze della società cessionaria.La corte territoriale osservava che presupposto necessario ai fini dell'applicazione dell'art. 2112 cod. civ. era la sussistenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento di azienda, ed escludeva che tale circostanza fosse ravvisabile nel caso esaminato atteso che il lavoratore era stato licenziato dalla presunta società cedente all'esito di una procedura di licenziamento collettivo in data 22 gennaio 2014 ed assunto dalla presunta cessionaria a decorrere dal giorno successivo con contratto a tempo determinato.Avverso la sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione, in particolare, laddove la corte territoriale non avrebbe dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato dalla cedente e conseguentemente ritenuto operante il trasferimento alla società cessionaria ai sensi dell'art. 2112 cod. civ. con conseguente suo diritto a transitare direttamente alle dipendenze di quest'ultima.La Corte di Cassazione accoglie il motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata.La Suprema Corte ribadisce il principio indicato nella massima (Cass. 15/02/2019 n. 4622), perché – sottolinea – diversamente opinando si finirebbe per avallare il fenomeno elusivo del divieto contenuto dall'art. 2112 cod. civ. per cui il trasferimento di azienda non può costituire di per sé causa di risoluzione del rapporto di lavoro.Secondo la Suprema Corte, quindi, la corte territoriale non poteva limitarsi a rilevare i fatti con la cadenza temporale descritta (licenziamento del 22 gennaio 2014 e nuova assunzione dal 23 gennaio 2014), ma doveva «verificare se gli stessi per la stretta connessione temporale con l'avvenuto trasferimento non fossero piuttosto degli indici rivelatori di una condotta elusiva del divieto contenuto nel citato comma 4 dell'art. 2112 cod. civ. con conseguente incidenza sulla validità del primo recesso e persistenzadel rapporto di lavoro al fine del trasferimento ai sensi della citata disposizione di legge».
Licenziamento per superamento del periodo di comporto
Cass. Sez. Lav., 16 marzo 2022, n. 8628
Pres. Manna; Rel. Marotta; P.M. Fresa; Ric. M.I.; Controric. C.S.
Licenziamento – Superamento del periodo di comporto – Indicazioni dei giorni di assenza – Comporto secco e per sommatoria – Distinzione – Rilevanza
In tema di licenziamento per superamento del comporto, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, anche sulla base del novellato art. 2 della L. 604/1966, che impone la comunicazione contestuale dei motivi, fermo restando l'onere di allegare e provare compiutamente in giudizio i fatti costitutivi del potere esercitato; tuttavia, ciò vale per il comporto cd. ‘secco' (unico ininterrotto periodo di malattia), ove i giorni di assenza sono facilmente calcolabili anche dal lavoratore; invece, nel comporto cd. per sommatoria (plurime e frammentate assenze) occorre una indicazione specifica delle assenze computate, in modo da consentire la difesa al lavoratore.
NOTA
La Corte d'appello di Trieste rigettava il reclamo proposto dalla datrice di lavoro avverso la decisione del Tribunale di Udine che, all'esito del giudizio di opposizione Fornero, aveva confermato l'ordinanza resa in sede cautelare dal medesimo Tribunale che aveva accolto il ricorso della dipendente, volto ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto e la condanna della datrice di lavoro alla reintegra del posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno quantificato nelle mensilità non corrisposte dal licenziamento fino alla data di effettiva reintegra.Il giudice di primo grado aveva affermato il principio secondo il quale «se il datore di lavoro nel provvedimento espulsivo provvede a specificare le giornate di assenza del lavoratore non può più modificarle o successivamente aggiungerne altre». Lo stesso aveva pertanto rilevato che il periodo indicato dalla datrice di lavoro per assenza da malattia risultava di 472 giorni complessivi (per sommatoria), ossia inferiore al periodo di comporto limite previsto dalla contrattazione in 484 giorni.Difatti il Tribunale aveva rilevato che, con particolare riferimento alle assenze dal 15 al 26 luglio 2012 indicate nel provvedimento espulsivo, queste non rientravano nel computo ai fini del licenziamento per superamento del periodo di comporto in quanto tali assenze erano indicate come assenze ingiustificate e, pertanto, non potevano essere conteggiate per tale superamento; lo stesso Tribunale affermava altresì che «a nulla rilevasse l'eventuale successiva dimostrazione in giudizio che tale periodo di assenza era stato giustificato per malattia, perché ciò che rilevava era la incontrovertibilità/immodificabilità dei periodi contestati nel provvedimento di espulsione, secondo il principio della immodificabilità dei motivi di recesso»La datrice di lavoro impugnava pertanto la sentenza della corte di appello davanti la Corte di Cassazione la quale rigetta il ricorso, motivando come da massima sopra riportata ed affermando che «anche nel caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, vale la regola generale dell'immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo di licenziamento, posta a garanzia del lavoratore – il quale vedrebbe altrimenti frustrata la possibilità di contestare l'atto di recesso – con la conseguenza che, ai fini del superamento del suddetto periodo, non può tenersi conto delle assenze non indicate nella lettera di licenziamento, sempre che il lavoratore abbia contestato il superamento del periodo di comporto e che si tratti di ipotesi di comporto per sommatoria, essendo esclusa, invece, l'esigenza di una specifica indicazione delle giornate di malattia nel caso di assenze continuative».
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Cass. Sez. Lav., 1° marzo 2022, n. 6663
Pres. Raimondi; Rel. Garri; Ric T.S.D.C; Controric. C.N.A.P. S.r.l.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Elementi costitutivi – Soppressione posizione – Ragioni alla base della soppressione – Necessaria sussistenza di un nesso causale – Obbligo di Repêchage – Onere della prova in capo al datore di lavoro
Il giudice nel verificare la legittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo è tenuto ad accertare sia la effettiva soppressione del posto di lavoro occupato sia la sussistenza di un nesso causale tra detta soppressione e le ragioni dell'organizzazione aziendale addotte a sostegno del recesso, restando irrilevante l'obiettivo perseguito dall'imprenditore. Oltre a ciò, poi, si deve accertare che non sussistano possibilità di reimpiegare il lavoratore in mansioni diverse. L'onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili.
NOTA
La fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte attiene al licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato ad un dipendente, comandante di imbarcazione, a seguito del sequestro della nave presso la quale il lavoratore risultava imbarcato a tempo indeterminato.A fronte dell'impugnazione da parte del lavoratore, il Tribunale di Milano prima e la Corte d'Appello di Milano poi accertavano la legittimità del licenziamento del dipendente. In particolare, con riferimento alla domanda inerente il licenziamento, la Corte territoriale riteneva che il lavoratore avesse svolto compiti diversi da quelli propri di comandante di imbarcazione solo occasionalmente, che tale posizione fosse stata soppressa, che era stata offerta dalla datrice di lavoro la prova della impossibilità di impiegare il lavoratore in mansioni diverse e che il lavoratore assunto successivamente fosse stato addetto a compiti che richiedono competenze e professionalità del tutto estranee a quelle possedute dal lavoratore licenziato.Per quel che qui rileva, avverso tale sentenza proponeva ricorso il lavoratore. La Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo inerente la legittimità del licenziamento.In particolare, la Corte di Cassazione ha richiamato i principi consolidati in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ricordando che il giudice nel verificare la legittimità del licenziamento intimato è tenuto ad accertare:(i)la effettiva soppressione del posto di lavoro occupato e la sussistenza di un nesso causale tra detta soppressione e il licenziamento;(ii)le ragioni inerenti l'organizzazione aziendale addotte a sostegno del recesso, restando irrilevante l'obiettivo perseguito dall'imprenditore;(iii)che non sussistano possibilità di reimpiegare il lavoratore in mansioni diverse (c.d. obbligo di repêchage).La Corte, ha ribadito, altresì, che l'onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili.Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo risulterà, dunque, legittimo – afferma la Suprema Corte – allorquando le ragioni poste a fondamento del recesso incidano in termini di causa efficiente sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore licenziato.Nel caso di specie la Corte Territoriale non si è attenuta a tali principi. Infatti, la Corte d'Appello di Milano pur avendo accertato l'esistenza di altre mansioni al comando di navi appartenenti alla società datrice di lavoro, non aveva verificato la possibilità di assegnare il lavoratore ad ulteriori attività di comando su imbarcazioni diverse da quella sequestrata, a cui il dipendente era addetto.Pertanto, la Corte ha accolto il ricorso del lavoratore con riferimento al motivo inerente la legittimità del licenziamento, cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d'Appello di Milano per una decisione secondo i principi esposti.
Licenziamento per superamento del periodo di comporto
Cass. Sez. Lav., 4 marzo 2022, n. 7247
Pres. Tria; Rel. Garri; Ric. B. S.r.l.; Contr. M.S.
Licenziamento – Periodo di comporto – Superamento – Computo delle assenze – Assenza per malattia – Responsabilità del datore ex art. 2087 c.c. – Accertamento – Sussistenza – Scomputo dal periodo comporto
Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell'art. 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un'origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c..
NOTA
La Corte di appello di L'Aquila rigettava il reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Vasto che aveva accertato l'illegittimità del licenziamento intimato da una società ad un dipendente per avvenuto superamento del periodo di comporto.La Corte territoriale, in particolare, riteneva non superato il periodo di comporto atteso che, dal computo dei giorni di assenza ai fini del comporto, andavano detratte quelle assenze per malattia causalmente connesse ad alcuni infortuni sul lavoro sofferti dal dipendente. La Corte abruzzese, infatti, aveva accertato: a) che le operazioni cui si era dovuto sottoporre il lavoratore (da cui le assenze per malattia) erano causalmente collegate agli infortuni subìti; b) l'avvenuta violazione da parte della datrice di lavoro dell'art. 2087 del Codice Civile; c) che il lavoratore aveva sollecitato un mutamento di mansioni stante la nocività dell'ambiente di lavoro, mai concesso dal datore di lavoro.Avverso la decisione di secondo grado la società ha proposto ricorso in Cassazione affidato a sei motivi.La Suprema Corte, per quel che rileva, ritiene che la Corte d'Appello – con percorso logico e fattualmente aderente alle allegazioni delle parti ed alle prove acquisite – abbia correttamente ritenuto che le assenze accumulate dal lavoratore fossero conseguenti ad una situazione di incompatibilità – cui la società datrice (pur sollecitata dal dipendente stesso) non aveva posto rimedio – tra le mansioni assegnate ed i postumi, permanenti, del primo infortunio e di quelli che si erano susseguiti nel tempo sempre sul medesimo arto, traendone la conclusione della riferibilità delle assenze a patologie connesse alla mancata adozione da parte della società delle precauzioni necessarie in relazione allo stato di salute del lavoratore, che pure le era ben noto.La Cassazione ritiene, dunque, che la Corte territoriale abbia fatto buon governo del consolidato principio espresso in massima e chiarisce che vanno, conseguentemente, detratte dal periodo di comporto «le assenze del lavoratore dovute a malattia connessa a specifici fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell'ambiente di lavoro, e siano pertanto collegate allo svolgimento dell'attività lavorativa, anche quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all'obbligazione contrattuale a lui facente carico ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., norma che gli impone di porre in essere le misure necessarie – secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica – per la tutela dell'integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, atteso che in tali ipotesi l'impossibilità della prestazione lavorativa imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata».Conclusivamente, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso della società e la condanna alle spese di giudizio.
Licenziamento collettivo
Cass. Sez. Lav., 25 febbraio 2022, n. 6296
Pres. Tria; Rel. Di Paola; Ric. V.S.; Controric. E.D.O.
Licenziamento collettivo – Ristrutturazione di una unità produttiva o di un settore – Individuazione dei lavoratori da licenziare – Delimitazione ad un'unità produttiva o settore – Infungibilità – Legittimità – Onere della prova – Onere sul lavoratore
In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, ove il progetto di ristrutturazione aziendale interessi una specifica unità produttiva o uno specifico settore dell'azienda, la comparazione dei lavoratori per l'individuazione di quelli da licenziare può essere limitata al personale addetto a tali unità o settori, a meno che gli addetti a tale unità o settore – per il pregresso impiego in altri reparti aziendali – siano idonei ad occupare le posizioni lavorative di altri colleghi non inclusi tra i profili professionali oggetto della procedura di mobilità. L'onere di dedurre e provare tale fungibilità è in capo al lavoratore.
Licenziamento collettivo – Criteri di scelta – Violazione – Legittimazione ad agire – Lavoratori – Pregiudizio concreto – Necessità
In caso di violazione dei criteri di scelta, l'annullamento del licenziamento non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati, ma soltanto da coloro che abbiano subito in concreto un pregiudizio per effetto di tale violazione, che abbia avuto un rilievo determinate rispetto al licenziamento.
NOTA
La Corte d'Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dal lavoratore per l'ottenimento della declaratoria di illegittimità del recesso intimatogli all'esito di una procedura di licenziamento collettivo.Il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione eccependo, inter alia, la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 115 cod. proc. civ. e dell'art. 2697 cod. civ., per avere la Corte d'Appello ritenuto gravante sul dipendente l'onere di dimostrare che tutti i lavoratori inseriti nelle graduatorie, a dispetto del livello di inquadramento differente, avessero svolto mansioni fungibili, non considerando invece che l'onere della prova sulla legittimità del licenziamento debba essere posto sul datore di lavoro.La Corte di Cassazione ritiene il motivo di ricorso inammissibile e infondato, giacché – a fronte del diverso inquadramento tra i lavoratori dichiarati in esubero e quelli manutenuti in organico – sarebbe stato onere del lavoratore allegare e provare l'irrilevanza di tale differenza a fronte di una concreta fungibilità tra le mansioni svolte dai lavoratori, nonostante il diverso inquadramento. Onere che, nel caso in esame, non era stato adempiuto. Tale statuizione corrisponde al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di licenziamento collettivo per riduzione del personale, nel caso in cui la ristrutturazione interessi soltanto una specifica unità produttiva o uno specifico settore aziendale, la comparazione tra i lavoratori al fine di individuare i licenziandi può essere limitata al personale addetto a tale unità o a tale settore, salvo che tali dipendenti siano in grado di occupare le posizioni lavorative di quelli addetti ad altri reparti esclusi dalla procedura di licenziamento collettivo, spettando ai lavoratori che invocano l'illegittimità dei propri licenziamenti l'onere di dedurre e provare la fungibilità tra le rispettive mansioni (cfr. Cass., 18190/2016).Con un ulteriore motivo di ricorso, il lavoratore denunciava altresì una violazione e/o falsa applicazione dell'art. 5, L. 223/1991, e dell'art. 112 cod. proc. civ., poiché la Corte d'Appello non sarebbe entrata nel merito della questione relativa all'illegittimità del licenziamento per violazione dei criteri di scelta sul presupposto dell'assenza di un interesse qualificato del lavoratore a proporre la domanda, senza invece considerare che se fossero stati licenziati anche soltanto due lavoratori tra quelli non inclusi nella graduatoria, il ricorrente avrebbe mantenuto il proprio posto di lavoro.La Corte di Cassazione premette, innanzitutto, che la Corte d'Appello era in realtà entrata nel merito della questione dei criteri di scelta, affermando la legittimità della decisione aziendale di formare due graduatorie distinte, una per i collaboratori amministrativi e l'altra per gli operatori tecnici amministrativi, in quanto prevista dal contratto collettivo applicato al rapporto, rispondente ai diversi inquadramenti dei lavoratori coinvolti e coerente con il criterio tecnico-produttivo e organizzativo alla stregua del quale il datore di lavoro doveva scegliere i lavoratori in esubero. Ciò detto, la Suprema Corte conferma la correttezza del principio di diritto applicato dal giudice di merito, secondo cui in caso di violazione dei criteri di scelta, l'annullamento del licenziamento non può essere chiesto indistintamente da tutti i lavoratori licenziati, ma soltanto da coloro, tra di essi, che abbiano subito un pregiudizio in concreto per effetto della violazione medesima (cfr. Cass., 13871/2019). Nel caso in esame, il lavoratore non aveva allegato né dimostrato tale concreto pregiudizio.Per tutte le ragioni che precedono, il ricorso viene rigettato.
Legittima la riduzione della retribuzione se deriva da contratto collettivo
di Potito di Nunzio e Laura Antonia di Nunzio