Indebito assistenziale non ripetibile se l’errore non è del beneficiario
La Cassazione, con una serie di pronunce ravvicinate (13915/2021, 13916/2021, 13917/2021 e 13918/2021) dello scorso 20 maggio, affronta alcune questioni in materia di indebito Inps di una certa rilevanza: in particolare, la disciplina applicabile in materia di indebito assistenziale per motivi reddituali e la verifica della correttezza delle modalità di recupero dell'indebito da parte dell'Inps in presenza di prestazioni previdenziali (articolo 13, comma 2, della legge 412/1991).
Con le sentenze 13195, 13916, 13917, la Corte ricorda quale sia il rapporto tra ripetibilità e tutela dell'affidamento, in assenza di una norma specifica in materia, come accade invece per gli indebiti di natura previdenziale. Le prestazioni di cui si discute l'erronea percezione sono costituite, in queste vicende, da attribuzioni sbagliate della maggiorazione sulla pensione sociale derivante da trasformazione di assegno di invalidità civile ex articoli 13 e 19 della legge 118/1971, in ragione del superamento dei limiti di reddito (sentenza 13915/2021) ed erronea attribuzione di somme a titolo di assegno sociale per superamento di requisiti reddituali (13917/2021), anche all'esito di trasformazione dell'assegno di invalidità (13916/2021).
In tutti questi casi, l'Inps aveva rivendicato il diritto alla ripetizione sulla base dell'applicazione diretta della disciplina generale sull'indebito civilistico (articoli 2033 e seguenti del Codice civile), non potendosi applicare l'articolo 13 della legge 412/1991e l'articolo 52 della legge 88/1989, disposizioni volte a disciplinare esclusivamente una indebita erogazione in relazione a un rapporto previdenziale pensionistico, non interpretabili in modo estensivo (si veda Cassazione 28517/2008).
La Cassazione aderisce a questa ricostruzione, ma individua diversi effetti quanto alle conseguenze. Sotto il profilo dello stato soggettivo, non è infatti applicabile direttamente a tutte le forme di indebito assistenziale l'articolo 2033 del Codice civile (che ne regola gli effetti solo in punto di somme accessorie), ma occorre tener conto della giurisprudenza che ha riconosciuto in materia di indebito, in via generale, discipline articolate a seconda che il pagamento non dovuto afferisca alla mancanza di requisiti reddituali, sanitari, socioeconomici, o di altra natura. In ogni caso, il principio generale di riferimento è che anche in queste fattispecie debba ritenersi non addebitabile all'accipiens l'erogazione non dovuta in presenza di una situazione idonea a generare affidamento. In relazione al venir meno dei requisiti reddituali, l'articolo 42, quinto comma, del Dl 269/2003, contrariamente a quanto ritenuto dall'Inps, non fonda un regime di piena ripetibilità per il periodo successivo alla sua entrata in vigore, come sembra suggerire la norma.
Secondo la Cassazione, infatti, si può discutere di ripetibilità solo a partire dal momento in cui l'ente preposto accerti il superamento dei requisiti reddituali, a meno che risulti provato che l'accipiens si trovasse, al momento dell'erogazione, in una situazione in cui il pagamento indebito fosse addebitabile al destinatario della prestazione e non vi fosse alcun affidamento sulla bontà del pagamento. Quando questa verifica non emerge dagli atti, la Cassazione rinvia al giudice di merito. Quando, invece, risulti in fatto che la percezione non possa essere addebitabile all'accipiens, la Cassazione può direttamente procedere al rigetto delle pretese Inps, in assenza di una situazione idonea a fondare l'affidamento circa l'effettiva spettanza del diritto.
Diversa è la situazione indicata dalla sentenza 13918/2021. Siamo nell'ambito dell'indebito previdenziale (ricalcolo pensione di vecchiaia con concorso di altre pensioni) e si discute delle modalità del recupero nel termine annuale successivo alla verifica annuale delle situazioni reddituali (articolo 13, comma 2, della legge 412/1991). In presenza di modifiche reddituali delle quali l'ente previdenziale venga a conoscenza in ragione della propria attività istituzionale, o che siano rese note dall'interessato, non siamo nell'ambito della non ripetibilità prevista dall’articolo 52, comma 2, della legge 88/1989, ma siamo in una situazione di ripetibilità condizionata al rispetto da parte dell'Inps del termine di decadenza annuale dalla verifica della situazione reddituale. Si tratta di una decadenza conclusiva perché riguarda il mancato rispetto del termine finale per l'attività di recupero e non il termine stabilito per la verifica annuale. In ogni caso, il termine ha decorrenza dall'anno in cui l'ente ha avuto conoscenza (o conoscibilità) dei dati da cui emerge il superamento del limite reddituale.
Ebbene, il recupero da effettuarsi nell'anno successivo deve essere inteso come termine entro il quale l'Inps deve almeno formalizzare la richiesta di restituzione (Cassazione 230131/2020). In questo senso, afferma la Cassazione, ancorare la legittimità del recupero all'effettivo incasso delle somme dovute nel termine decadenziale renderebbe di fatto inapplicabile la disposizione ai casi di pagamenti dilazionati, che in questa materia vengono comunemente disposti. L'importante è che, tuttavia, il pensionato, nell'anno successivo rispetto alla verifica, riceva la formale richiesta di recupero da parte dell'Inps, atto questo idoneo ad impedire la decadenza indicata al comma 2 dell'articolo 13.
Segnalazione al Comitato anti-covid, al lavoratore le tutele sul whistleblowing
di Giuseppe Bulgarini d’Elci