Contenzioso

Il rigetto del ricorso contro la cartella trasforma la prescrizione contributiva da cinque a dieci anni

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di Silvano Imbriaci

Nell'ordinanza 20387/2021, la Cassazione si interroga sul termine di prescrizione applicabile nel caso di credito contributivo incardinato in una cartella esattoriale oggetto di opposizione sfociata in una sentenza di rigetto del ricorso.

In sintesi, il tema è quello dell'idoneità della sentenza di mero rigetto dell'opposizione a costituire titolo per la pretesa contributiva, convertendo così il termine di prescrizione da quinquennale ordinario a decennale (articolo 2953 del Codice civile). Il dubbio è lecito, in quanto è proprio la norma civilistica appena citata a prevedere che i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni.

Dunque, in apparenza, solo la sentenza irrevocabile di condanna porta in sé un comando giuridico che sostiene la pretesa di pagamento, non più legata a un atto stragiudiziale (come l'atto amministrativo impositivo), ma a una statuizione giudiziale. Viceversa, di fronte a una sentenza di mera reiezione del ricorso in opposizione, mancando l'elemento decisivo rappresentato dalla condanna, il termine di prescrizione continua a essere legato e disciplinato dalla normativa sostanziale di riferimento (legge 335/1995).

La soluzione della Cassazione non è però così scontata, in quanto la giurisprudenza della Suprema corte ha spesso incluso, in via interpretativa, nel concetto di sentenze di condanna utili ai fini dell’articolo 2953 del Codice civile, atti formalmente diversi dalle sentenze di condanna, ma comunque idonei a fondare l'applicazione del termine prescrizionale decennale (ad esempio il decreto ingiuntivo non opposto, il decreto penale di condanna al pagamento dei contributi non corrisposti e somme aggiuntive).

Anzi, in vari casi è stata ammessa l'applicazione dell'articolo 2953 anche in presenza di sentenze di mero rigetto, soprattutto in materia tributaria (ingiunzioni per il pagamento di sanzioni amministrative, o cartelle esattoriali: Cassazione 11867/2018). In questi casi, infatti, la Corte ha ritenuto che il diritto fosse svincolato dall'atto originario per essere incardinato nella pronuncia giudiziale (Cassazione sezioni unite 25790/2009): il provvedimento del giudice che definisce la lite, nonostante riconosca la legittimità dell'atto impugnato, assume rilevanza autonoma rispetto a tale titolo, in quanto vi è stata una contestazione di fronte ad un giudice che ha esaminato la pretesa magari operando anche una riduzione della sua quantificazione.

Insomma, non vi è una definizione concordata della vicenda, consistente nella rinuncia del contribuente a impugnare l'atto che quindi diventa definitivo in via amministrativa e da porre tempestivamente in riscossione. Qui il contribuente ha contestato, ha chiesto l'intervento di un giudice che comunque ha esaminato la fondatezza della pretesa; e la sentenza che ha deciso il giudizio non può di per sé arretrare e scomparire lasciando "rivivere" l'originario titolo amministrativo che era stato impugnato (producendo quello che le sezioni unite chiamano, con locuzione efficace, un «effetto oscurante del giudicato»). È come se, con l'apertura della contestazione giudiziale di un titolo stragiudiziale ancora non definitivamente consolidatosi, vi fosse un effetto di azzeramento delle posizioni, per cui, a fronte del paritetico rapporto processuale, la regolamentazione dei diritti è affidata a un giudice, a un soggetto terzo, dalla cui penna scaturiscono le regolamentazioni dei diritti e doveri specifici nella fattispecie concreta.

Anche nelle opposizioni a pretese contributive incardinate in titoli stragiudiziali, secondo Cassazione 20387/2021, possono essere valide queste argomentazioni spese per il giudizio tributario. Ogni volta che il contribuente si oppone a un ruolo esattoriale o a un avviso di addebito, l'azione che esercita non è semplicemente una domanda di accertamento negativo, quanto una verifica della domanda di condanna spiegata dall'attore sostanziale (parte convenuta nel processo di opposizione); tant'è che il processo si può chiudere con il rigetto della domanda o con la condanna alla minor somma, ma in ogni caso l'istituto trova il fondamento della sua pretesa nel vaglio giudiziale passato in giudicato.

Non può essere infine paragonato al caso in questione, quello della cartella esattoriale non opposta, per la quale le sezioni unite ( 23397/2016) hanno escluso la conversione del termine del termine prescrizionale da quinquennale a decennale. Infatti, l'elemento decisivo, nel caso di una sentenza di mero rigetto, è quello della attivazione del contenzioso giudiziale, circostanza che manca, per definizione, nell'ipotesi esaminata dalle sezioni unite del 2016.

In conclusione, la Cassazione ha confermato la sentenza d’appello, e la validità della sentenza di rigetto del ricorso di opposizione alla cartella esattoriale a trasformare il termine di prescrizione da cinque a dieci anni.

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