Contenzioso

La domanda di rigetto del ricorso può fermare la prescrizione

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di Silvano Imbriaci

La sentenza 21799/2021 si occupa dell'efficacia interruttiva del termine prescrizionale a opera della memoria di costituzione dell'ente previdenziale che si limiti a chiedere il rigetto del ricorso, a fronte di un'azione di accertamento negativo dell'obbligo contributivo promossa dal debitore (o presunto tale). La questione si pone in quanto la semplice richiesta di rigetto dell'altrui ricorso non sembra essere dotata di quel contenuto volitivo e decisorio che deve caratterizzare l'atto di messa in mora ai fini interruttivi della prescrizione.

L'articolo 2943, comma 2, del Codice civile, infatti, assegna effetto interruttivo (permanente) anche alla domanda proposta nel corso di un giudizio, con conseguente congelamento del termine fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio. Può dunque la memoria di costituzione dell'ente previdenziale, che si limiti a chiedere il rigetto dell'opposizione, assumere la qualità di atto di costituzione in mora del debitore, ossia contenere l'esplicitazione della pretesa contributiva e soprattutto l'intimazione (anche implicita) al pagamento?

La Cassazione aveva già risposto a questa domanda. Con due pronunce (12058/2014 e 9589/2018), valutando l'efficacia interruttiva di atti giudiziali, la Corte aveva ritenuto, attraverso un'interpretazione letterale dei requisiti dell'atto di messa in mora secondo l’articolo 2943 del Codice civile, che la semplice richiesta di rigetto della domanda attrice doveva essere considerata una mera attività di confutazione della pretesa avversaria, priva dunque di ogni potenzialità esplicativa di una pretesa.

Secondo questo pensiero doveva tracciarsi una netta linea di demarcazione tra la richiesta di veder riconosciuto un proprio diritto e la volontà di farlo valere, mediante un'intimazione di pagamento sia pure contenuta in un atto processuale difensivo. Volontà che non era rintracciabile in un atto di costituzione in giudizio che si fosse limitato a chiedere il rigetto dell'opposizione.

La Cassazione nel 2021 cambia orientamento, muovendo da una diversa valutazione del concetto di domanda proposta nel corso del giudizio. Secondo la Corte, porta sulla strada sbagliata identificare la domanda esclusivamente come l'iniziativa (in questo caso giudiziale) dell'avente diritto o titolare della pretesa. In effetti la giurisprudenza sul tema ha spesso assegnato efficacia interruttiva permanente ad atti processuali nei quali la parte si è limitata a "resistere", come nel caso di opposizione a precetto, o a ordinanza ingiunzione, sia pure temperando il principio con quello della valutazione in concreto (affidata al giudice del caso) del contenuto dell'atto difensivo.

Ove, infatti, la difesa consista in una mera richiesta di rigetto dell'opposizione basata su allegazioni e circostanze estranee alla pretesa contributiva, come la domanda di accertamento di un altro credito o questioni solo processuali, effettivamente diventa difficile sostenere che in quell'atto vi sia la volontà di far valere la propria pretesa. Ma ove nell'atto vi siano invece tutti quegli elementi che in modo inequivoco esprimono l'esercizio di una volontà recuperatoria da parte dell'ente, di affermazione della propria pretesa, allora non si vede per quale motivo l'aver rassegnato conclusioni sintetiche basate sul semplice rigetto dell'opposizione possa impedire il prodursi di quell'effetto interruttivo richiesto dall'articolo 2943 del Codice civile.

In modo plastico ed efficace la Cassazione pone logicamente sullo stesso piano l'azione di accertamento negativo della pretesa creditoria e la resistenza a tale azione, con azione contraria che non può che essere descritta come un'azione di accertamento della pretesa, ossia della titolarità della situazione giuridica dedotta in giudizio. Che queste due azioni siano dotate di forza eguale e contraria da un punto di vista processuale lo si desume da una circostanza che può occorrere nel corso del processo, ossia la rinuncia all'azione di accertamento negativo.

In questo caso, anche se la posizione dell'ente è di mero rigetto del ricorso, occorre comunque un'espressa accettazione della rinuncia, condizione che non avrebbe senso chiedere se la posizione dell'ente non fosse equiparabile a quella di una rivendicazione del diritto. Vero è che questa soluzione adottata dalla Corte sembra molto più omogenea (rispetto alla precedente) alla natura del giudizio di opposizione agli atti impositivi in materia contributiva: è un giudizio, infatti, e per costante giurisprudenza, che non si limita all'esame degli atti, ma impone al giudice, anche in caso di accertata illegittimità del procedimento amministrativo, di esaminare il merito della pretesa, statuendo sui diritti e sugli obblighi inerenti al rapporto previdenziale dedotto in giudizio.

Ricorda comunque la Corte che, in ogni caso, non potrà prescindersi dall'esame da parte del giudice del merito nel caso concreto del contenuto "volitivo" dell'atto difensivo, finalizzato a valutare se la richiesta di rigetto del ricorso abbia fondamento su ragioni attinenti alla pretesa contributiva o in fatti e circostanze ad essa estranee.

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