Contenzioso

Recessi collettivi mai su base discrezionale

Licenziamenti illeciti anche se i criteri di scelta sono stati concordati con i sindacati

di Giampiero Falasca

È illegittimo, anche se concordato con le organizzazioni sindacali, un criterio di scelta dei lavoratori da licenziare al termine di una procedura collettiva che assegni un margine di discrezionalità al datore di lavoro.
Con l'affermazione di questo principio, non nuovo nella giurisprudenza di legittimità ma spesso dimenticato, la Cassazione (sentenza 33623/2022 del 15 novembre) ha concluso la controversia promossa da un lavoratore al termine di un licenziamento collettivo.
Tale procedura di riduzione del personale si era concluso con la stipula di un accordo collettivo mediante il quale il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali avevano concordato, utilizzando la facoltà prevista dall'articolo 5, comma 1, della legge 223/1991, un criterio di scelta diverso da quelli previsti dalla legge per l'individuazione dei lavoratori da licenziare. In particolare, le parti avevano concordato di dare una particolare applicazione al criterio delle esigenze tecnico produttive, stabilendo che i lavoratori sarebbero stati valutati sulla base della loro preparazione professionale e delle loro prestazioni quali-quantitative, ricevendo dalla società un punteggio a seconda del giudizio attribuito a ogni dipendente (mediocre 250 punti, sufficiente 500 punti, buono 750 punti, ottimo 1000 punti).
Un dipendente che aveva ricevuto il giudizio di “mediocre” ed era finito tra il personale in esubero impugnava il licenziamento lamentando l'illegittimità del criterio di scelta fissato nell'accordo sindacale. Tale lavoratore lamentava il fatto che la graduatoria, pur essendo apparentemente oggettiva perché basata sull'attribuzione di punteggi, fosse in realtà espressione di un giudizio ampiamente discrezionale del datore, che come tale non era oggettivamente verificabile e controllabile, lasciando spazio a una scelta arbitraria dei dipendenti da licenziare.
La Corte d'appello accoglieva questa lettura, e la Cassazione, con la sentenza ricordata, ha confermato tale decisione, ricordando che per garantire la trasparenza della procedura di licenziamento collettivo, il criterio o i criteri prescelti devono essere oggettivi e non possono trovare applicazione discrezionale. Un criterio basato sulla discrezionalità non è verificabile, vanificando la finalità della legge 23/1991 che, invece, esige la fissazione di parametri oggettivi per la scelta dei dipendenti. La Corte, in tale prospettiva, precisa che «un criterio non verificabile, in realtà, non è un criterio di scelta».
Per rafforzate impostazione la Corte ricorda alcuni precedenti importanti, nei quali, anche in presenza di un criterio di scelta di per sé oggettivo (requisiti per collocamento in pensione), sono stati annullati dei licenziamenti perché veniva mantenuto uno spazio di discrezionalità del datore, tale da vanificare la trasparenza della procedura regolata dalla legge (Cass. 1938/2011).
La Corte rafforza il concetto affermando che un criterio vago priva il lavoratore della tutela assicuratagli dalla legge, perché la scelta in concreto effettuata dal datore di lavoro non è raffrontabile con alcun criterio oggettivamente predeterminato.

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